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Archive for dicembre 2012

Causa festività varie, questo posto rimarrà fermo per qualche tempo e, siccome ho le idee chiare, non so se per una (praticamente sicuro) o due (forse? mah?) settimane.

Anyway, buone feste a tutti! 😀

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Non ero sicura di voler davvero fare un post di classifiche di fine anno, ma poi la tentazione di compilare qualche bella lista è stata troppo forte (nonché l’esigenza di scongiurare il rischio di mettermi a far l’elenco dei propositi per l’anno nuovo che a quel punto la cosa si fa preoccupante davvero).

Quindi ecco qua.

Top 10 album 2012 

  1. Muse, The 2nd Law
  2. Placebo, B3-EP
  3. The Vaccines, Come of Age
  4. Sigur Ròs, Valtari
  5. Mumford & Sons, Babel
  6. Mark Knopfler, Privateering
  7. Bruce Springsteen, Wrecking Ball
  8. Alanis Morrissette, Havoc and Bright Lights
  9. Franco Battiato, Apriti Sesamo
  10. Norah Jones, …Little Broken Hearts

e in coda (visto che non riesco mai a restare nei limiti) ci mettiamo Moonspell, Alpha Noir / Omega White e NOFX Self-Entitled.

Top 20 ascolti 2012 

  1. Muse, The 2nd Law (2012)
  2. Placebo, B3-EP (2012)
  3. Bon Jovi, Greatest Hits (2010)
  4. Nightwish, Imaginareum (2011)
  5. The Black Keys, El Camino (2012)
  6. Placebo, Meds (2006)
  7. Sigur Ròs, Valtari (2012)
  8. Fabrizio De Andrè, In direzione ostinata e contraria voll.1 e 2 (2005-2006)
  9. The Vaccines, Come of Age (2012)
  10. Muse, The Resistance (2009)
  11. Muse, Absolution (2003)
  12. Therapy?, Infernal Love (1995)
  13. Red Hot Chili Peppers, Californication (1999)
  14. Editors, An End Has A Start (2007)
  15. David Bowie, varie (1967-2003)
  16. Placebo, Once More With Feeling (2004)
  17. Franco Battiato, La Cura (2000)
  18. Fabrizio De Andrè, Non al denaro nè all’amore nè al cielo (1971)
  19. Mumford & Sons, Babel (2012)
  20. Sonic Youth, Bad Moon Rising (1985)

e in coda, per il motivo di cui sopra, un po’ di REM, Dire Straits, Pink Floyd, altri Nightwish, Guns n’ Roses, Metallica, Cradle of Filth (Dusk and Her Embrace)altri Muse e altri Placebo (tutto), Slayer, altri Sigur Ròs, un po’ di Iggy Pop, Yann Tiersen, Branduardi (Camminando camminando) e diversa classica.

Che poi perchè mai farai delle liste se tanto ci aggiungi in coda praticamente di tutto?

Ouff. Boring.

Top 10 film 2012

  1. Quasi Amici
  2. Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato
  3. Cena tra amici
  4. …e ora parliamo di Kevin
  5. Cosmopolis
  6. Pietà
  7. Resident Evil – Retribution
  8. Rock of Ages
  9. Hunger Games
  10. Love and Secrets

E’ pur vero che mi sono persa diversi film che avrei sicuramente messo in classifica – tipo 7 psicopatici e Venuto al mondo – e che l’anno non è ancora finito. Tanto per dire, oggi esce questo, di Ang Lee.

Top 10 letture 2012

  1. 22/11/’63, S. King (2011) 
  2. Perchè essere felice quando puoi essere normale?, J. Winterson (2012)
  3. Pan, F. Dimitri (2008)
  4. Ginnastica e rivoluzione, V. Latronico (2008)
  5. Metafisica dei tubi, A. Nothomb (2000)
  6. Wunderkind 3 – Il Regno che verrà, G.L. D’Andrea (2011)
  7. Tanit,  L. Manni (2012)
  8. La progenie, G.Del Toro – C. Hogan (2009)
  9. Il quaderno di Maya, I. Allende (2011)
  10. Bed Time, A. Marini (2012)

E tanto perché le liste sono cosa buona e io sono in vena di cazzate: http://listverse.com/

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[No, ma scusate, Haarp su Italia 1?! Così a tradimento?!]

Riflessione del giorno.

Se dovessi tentare di insediarmi in una qualche forma di realtà virtuale penso, con sufficiente sicurezza, che escluderei qualsiasi opzione di controllo globale e che la mia scelta cadrebbe su qualche videogioco. Mi accontento di poco, lo so. Sono anzi abbastanza certa che opterei per Devil May Cry ma credo – con altrettanta sicurezza – che, data la mia sviluppatissima capacità di perdermi praticamente ovunque, farei qualche cazzata e finirei incastrata in qualcosa tipo Super Mario Bros. Che per carità, era divertente, ma non aveva i capelli bianchi, gli occhi di ghiaccio e tutta quella serie di simpatici connotati tipici di un mezzodemone.

Era una vita che non rivedevo questo film e mi ero quasi dimenticata quanto fosse figo (trattasi di linguaggio cinematografico specifico per addetti). Se è per questo mi ero anche dimenticata che ci fosse Pierce Brosnan nei panni dello scienziato e la cosa mi ha fatto sorridere non poco.

E poi siamo nel 1992, vent’anni fa giusti giusti, il che ha non poche implicazioni. Senza contare il fatto che stavo riguardando una vecchia videocassetta registrata dalla tv e quindi c’erano anche tutte le pubblicità di quegli anni (l’unica occasione in cui le guardo) e mi partivano gli oohhh e gli aaaahh tipici di quando ci si ritrova per le mani qualcosa di lungamente dimenticato e strettamente legato ad altri tempi. C’era pure un vecchio spot del Mulino Bianco, quando ancora puntava sul classico della famiglia perfetta e lasciava invecchiare in pace gli attori ormai in disuso (perchè diciamolo, è sotto gli occhi di tutti quanto appeal abbia perso Banderas in compagnia della gallina Rosita).

Comunque. Sì, tra una pubblicità e l’altra ho visto anche il film.

Dicevamo, il 1992. Il che vuol dire ancora mooooolti anni Ottanta in tutto. Abbigliamento, sigarette (era normale fumare oddio, non ti crocifiggevano neanche!), fumetti e soprattutto l’approccio verso la Tecnologia-questa-sconosciuta, in particolare la tecnologia informatica, dalla quale ci si aspettava ancora che cambiasse il mondo.

By the year 2001, there won’t be a person on this planet who isn’t hooked into it, and hooked into me.

C’è questo timore reverenziale nei confronti di una scienza che ha connotati misti tra il fantascientifico e il divino e che oltrepassa i confini del suo ruolo andando a modificare non solo la vita dell’uomo ma la sua stessa natura – con un bel richiamo, tra l’altro, a Cronenberg di Videodrome (che devo recuperare in qualche modo visto che è la seconda volta in due settimane che mi trovo a nominarlo).

E poi c’è questa curiosa sovrapposizione tra l’idea della realtà virtuale (nella quale è fondamentalmente la visione tridimensionale a rappresentare il massimo dell’avveniristico) e il concetto di rete, giustificata dal fatto che viene assegnata alla realtà vituale la consistenza di una vera e propria dimensione parallela. Con la conseguente introduzione della possibilità di un passaggio e quindi di interazione tra le due realtà. Con gli agenti che vengono scomposti in pixel o il fuoco virtuale che brucia il prete sadico.

This technology has peeled back a layer to reveal another universe. Virtual reality will grow, just as the telegraph grew to the telephone – as the radio to the TV – it will be everywhere.

Il tutto condito con un po’ di teorie sullo sviluppo delle potenzialità latenti del nostro cervello come lettura del pensiero, telecinesi e cose così e un po’ di finanziamenti alla ricerca esclusivamente per scopi militari – il tutto nasce dagli studi per lo sviluppo di un (originalissimo) super soldato.

Oltre a Pierce Brosnan, c’è anche Jeff Fahey nei panni di Giobbe, il povero tizio della tagliaerba, ritardato, usato come cavia per gli esperimenti del dottore e poi super intelligente e super potenziato (oltre che super folle). J. F. che sul momento non mi diceva proprio niente ma che ho scoperto essere presente in moltissime puntate di Lost e (soprattutto) essere JT di Planet Terror! Scusate il punto esclamativo ma non l’avevo proprio riconosciuto e avevo anche speso riflessioni del tipo ohmaquestoquidopoquestofilmèpropriosparito. Ecco, sì.

Insomma. Gran bel film. Di quelli che lo vedi che appartengono ad altri anni ma non hanno perso nulla.

Dr. Lawrence Angelo: Jobe, listen to yourself right now. The first sign of psychosis is a Christ complex. 
Jobe Smith: CyberChrist.

(questa l’ho messa per la serie battute che si perdono con il doppiaggio).

Cinematografo & Imdb.

E vabbè, visto che ho iniziato con i Muse…

Typical Muse interview

Interviewer: what’s your favorite color?

Chris: Red

Dom: *laughing at something Matt is doing*

Matt: I would say in the end, we’re all part of the human condition.. i think that.. um.. you just gotta..go out there and get angry. Riots and, uh,… violence. The world leaders… should be.. scared, I think, you know. And the chemical formula for salt is NaCl

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Allora. Lo so che mettersi a fare il film de Lo Hobbit, il che fondamentalmente vuol dire il prequel del Signore degli Anelli, e per di più suddividerlo in tre (tre!?) capitoli puzza di operazione commerciale quanto un cumulo di carcasse di orchi lasciate al sole. Ma. Marketing o no, Peter Jackson lo fa talmente bene che le dinamiche in sottofondo non hanno granché importanza.

Devo dire che il libro di Tolkien l’ho letto davvero molti anni fa e mi rendo conto che al momento non sono in grado di portare avanti un giudizio legato alla trasposizione dal testo allo schermo. Posso solo parlare del film e ne dico un gran bene.

E’ esattamente quello che mi aspettavo. Un trionfo della potenza visiva di Jackson per un universo che nessuno dopo di lui riuscirà mai a rappresentare in modo così perfetto e completo, dal punto di vista della sua costruzione fisica ma, soprattutto, dal punto di vista dello spirito che esso incarna.

Se, da un lato, è pur vero che il Signore degli Anelli ha ammazzato il fantasy nel senso che ormai, chiunque sia venuto dopo nel genere non può astenersi dal fare i conti con il debito che –volente o nolente – si trova ad avere nei confronti del film tolkeniano, è anche vero che è stata una morte ampiamente onorevole perché P. J. è stato il primo a sfruttare davvero tutte le potenzialità di questo genere in termini di avventura, di trama, ma soprattutto di ambientazioni.

Se già nella precedente trilogia scenografie, immagini e fotografie erano spettacolari, qui il regista si sbizzarrisce con tutto quello che evidentemente non aveva potuto inserire nel SdA. Battaglie ancora più epiche, scontri tra creature antichissime, fughe rocambolesche.

In più ci aggiunge anche il 3D che, se è vero che di solito non arricchisce particolarmente il film, è comunque fatto davvero bene e bastano anche solo due o tre scene (gli artigli dell’aquila che sollevano il corpo di Thorin e l’occhio del drago) perchè senta di aver speso bene i soldi del sovrapprezzo del biglietto.

Sulla trama, come dicevo, a parte i punti salienti, come il ritrovamento dell’anello e alcuni altri, non saprei dire con esattezza dove P.J. ha aggiunto qualcosa, e come.

Anche il cast, come sempre, molto valido con M. Freeman nei panni di un Bilbo Baggins davvero ben riuscito, tra ironia e coraggio e R. Armitage nel ruolo di Thorin – finalmente un nano privo di quel sottofondo sempre un po’ ridicolizzante e caricaturale. E poi l’ottimo Ian McKellen – anche se non ho apprezzato particolarmente il cambio di doppiatore.

Decisamente da vedere.

Cinematografo & Imdb.

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Bello è bello, per carità. Ma che massacro.

Non ho visto proprio tutto di Gus Van Sant ma sono comunque abbastanza certa che questo sia il suo film più triste.

Una struggente e delicatissima storia d’amore tra una ragazza, Annabel (Mia Wasikowska), a cui restano solo tre mesi di vita a causa di un tumore al cervello e un ragazzo, Enoch (Henry Hopper – al suo esordio), dalle potenziali tendenze suicide, che non riesce a rielaborare il lutto per la perdita dei genitori in un incidente stradale e passa il tempo imbucandosi ai funerali e giocando a battaglia navale con Hiroshi, il fantasma di un ragazzo, kamikaze giapponese della seconda guerra mondiale.

Drammatico, su questo non ci piove. Non melodrammatico. Le parole chiave che salvano il tutto sono “delicatissima” e “fantasma”. Non c’è traccia dell’autocommiserazione compiaciuta dei film a tema malattia terminale che andavano tanto di moda negli anni Novanta. Non ci sono le lunghe trafile mediche e le accurate descrizioni delle miserie della malattia. La situazione si capisce per immagini, tramite ellissi e allusioni. E basta e avanza. Solo nei dialoghi tra Annabel e Enoch le cose vengono chiamate con il loro nome. Come se alla fine solo loro ne avessero il diritto poichè le portano sulla propria pelle.

Annabel deve morire ma è piena di una serenità e di una voglia di vivere travolgenti. Enoch deve vivere ma non ha nè interesse nè una vera energia per farlo davvero. Hiroshi lo accompagna e cerca in qualche modo di guidarlo anche nel rapporto con Annabel che, anche se non riesce a vederlo, accetta la sua presenza come naturale. La figura del fantasma è un elemento che in qualche modo stempera la drammaticità, conferendo un tono leggero e surreale anche a ciò che leggero non è. Ha la stessa funzione del milkshake al funerale. Sdrammatizzare anche quello che non si può sdrammatizzare. Riportare la morte alle sue proporzioni di elemento – uno tra tanti, uno qualsiasi – della vita. Il fantasma incarna la conflittualità di Enoch con la morte, ma al tempo stesso la sua familiarità con essa per averla vissuta anche in prima persona, a seguito dell’incidente.

Il fantasma è anche una delle chiavi per interpretare il titolo (l’originale, Restless, non quella schifezza italiana de L’amore che resta, per carità), poichè Hiroshi non trova pace per una cosa che non ha fatto in vita. Anche Enoch non trova pace e non riesce a stare lontano dalla morte cui la sua vita è stata strappata così arbitrariamente.

Annabel. Una dolce Amélie condannata e apparentemente fortissima. A ripensare il suo personaggio dall’esterno, sembrerebbe forse fin troppo perfetta, troppo bella e saggia nel suo affrontare la morte imminente, per essere  vera. Eppure a vederla non c’è traccia di forzatura, ma anzi un’estrema naturalezza.

Entrambi gli attori sono molto bravi e molto belli in questi due ruoli solitari e malinconici: si muovono sullo sfondo di un autunno esteticamente perfetto, nei loro vestiti retrò, con i loro passatempi diversi e lontani dalla quotidianità scolastica dei loro coetanei.

A completare il tutto le musiche, come sempre azzeccatissime, di Danny Elfman.

Morale, ho retto bene fin quasi alla fine salvo poi continuare a lacrimare e a tirar su col naso ancora per cinque minuti buoni di Tremors 4 che ho beccato a caso su non so che canale (chiedendomi anche, tra un singhiozzo e l’altro, quando diavolo fosse uscito il 4 e perchè me lo fossi perso).

Poi, boh, sarà che passati i trenta la mia emotività è diventata del tutto ingestibile, ma è davvero un film bello ma tanto tanto triste.

Cinematografo & Imdb.

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…il che non significa necessariamente che lo trovi.

Varie ed eventuali.

Ho finalmente ascoltato per intero l’ultimo dei Cranberries, Roses, e il mio giudizio si riassume in: umpf. Non è che sia brutto ma sembra un po’ una raccolta di B-Sides senza nessun brano che dia veramente corpo all’album.

L’ultimo di Springsteen, Wrecking Ball, invece non delude mentre il doppio di Mark Knopfler, Privateering, è veramente di altissimo livello e ogni volta che lo ascolto sono sempre più contenta dei biglietti che mi aspettano per il 2 maggio qui a Torino .

E comunque giuro che, anche se ultimamente non sembra, faccio anche altro oltre a comprare biglietti per concerti.

Sì gioia, tieni d’occhio le date dei nuovi tour.

Nuovi tour? Di chi? Dove? Quando?

Ecco, appunto

Anyway, l’altro giorno mi sono imbattuta in questo ennesimo motivo per attendere giugno 2013. Essendo Shyamalan uno dei miei registi preferiti sono estremamente fiduciosa e mi aspetto una sua rielaborazione anche della categoria fantascienza.

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ZohSG

Massima del giorno:

Lo spirito di condivisione è una fregatura colossale.

Quando si viene colti dall’irrefrenabile istinto di condividere qualcosa di personale con qualcuno con cui non si è in rapporti più che intimi sarebbe pertanto consigliabile chiudersi in un tombino per un tempo variabile tra i dieci minuti e le tre ore, sufficiente insomma perchè detto istinto scompaia del tutto e vengano così evitati i danni che immancabilmente ne deriverebbero.

Yeah, like I’m gonna share some private things with you… erano le sagge parole di un altrettanto saggio individuo che riascoltavo giusto qualche settimana fa.

No, perchè, sarà l’atmosfera natalizia, ma la mia fiducia nei miei simili si sta pericolosamente aggirando intorno ai minimi storici. Quanto meno per quel che riguarda quelli in carne e ossa.

Cosa c’entra questo con l’argomento del post?

Niente.

Qual è l’argomento del post?

Non si vede dalla locandina?

Era un modo come un altro per riportarti on topic.

Fine psicologa, questa AltraMe che veste i panni della mia coscienza.

Sì, ultimamente ho trascurato un po’ le pallottole d’Argento. Un po’ perchè vengo sempre più spesso colta da attacchi di letargia istantanei tipo Melman di Madagascar (che sonno, io andrei….zzzzzzzzzzzzzzzzzz) e un po’ perchè non ho più trovato niente che mi esaltasse particolarmente. E’ vero che la settimana scorsa hanno riproposto pure Videodrome che a suo modo è un gran film, ma decisamente non ero in vena. Prima o poi ne parlerò come si deve.

Solstice è uno di quei classici film da soft-notte-horror.

La regia è di Daniel Myrick, co-regista di Blair Witch Project, che pesca abbondantemente nei cliché dei film di e per teenager, ci aggiunge una discreta quantità di situazioni da ghost story e condisce il tutto con un po’ di voodoo, con un risultato sicuramente non esaltante ma tranquillamente dignitoso.

Gruppo di adolescenti in vacanza in una villa nel paludoso entroterra della Louisiana; villa di proprietà di una di loro, spedita lì con gli amici dai genitori nel tentativo di farle superare la recente perdita della sorella gemella, morta suicida, e soprattutto di togliersela dai piedi e piangere in santa pace loro stessi. Che poi andare superare un lutto in una casa piena di ricordi della persona scomparsa – con l’aggiunta dell’incarico da parte della sensibilissima madre di far sparire le cose della sorella – non sia esattamente il tipo di terapia più efficace di questo mondo, è una di quelle incongruenze tipiche di questo genere di film, ergo la prendiamo per buona e facciamo finta di stupirci se questa poveretta ha un tracollo praticamente ad ogni passo che muove in giro per casa.

A complicare il tutto ci si mettono anche il fantasma della sorella, che sembra non darsi pace nei tentativi di darle una benedetta chiave che continua a ricomparire indipendentemente da dove venga chiusa, una storia d’amore con l’ex fidanzato della sorella morta (tanto erano gemelle), un vicino di casa parecchio sinistro e una bambina scomparsa.

Nel complesso riesce ad essere abbastanza inquietante e soprattutto – cosa tutt’altro che scontata – la trama regge bene fino alla fine, con una spiegazione plausibile che rimette insieme tutti i pezzi senza perdersi nulla per strada.

Imdb.

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Sulla scia del film di Argento della scorsa settimana e colta da nostalgie vampiresche, vado a riesumare un altro di quei film che ho visto e rivisto una quantità di volte a dir poco imbarazzante in quegli anni in cui avevo a mia volta aspirazioni verso una sana ed esteticamente gratificante condizione di non-morte.

Sì, lo so è un film oltremodo (mani sospese sulla tastiera e sguardo perso nel vuoto in cerca di un aggettivo che sia almeno un filo più adatto di ingombrante) pretenzioso e magniloquente (sono riuscita ad utilizzare questo aggettivo e non sto neanche parlando dei Museè uno di quei vocaboli che bisogna segnarsi in attesa dell’occasione giusta per sfoderarli – un po’ come gargantuesco – non viene in mente niente a nessuno?). E oltretutto è anche un film terribilmente romantico, per lo meno per i miei standard.

Ma il risultato finale è talmente ben riuscito da far dimenticare anche gli aspetti che, presi singolarmente potrebbero essere discutibili. Di fatto, è una delle migliori trasposizioni di Dracula dopo quella del 1931 con Bela Lugosi, anche se Coppola si prende diverse libertà rispetto alla storia originale.

Nonostante il titolo Bram Stoker’s Dracula sia stato scelto esplicitamente per sottolineare la fedeltà al testo originario e per identificare subito il film come la vera trasposizione cinematografica del grande classico gotico, ci sono diverse deviazioni se non a livello di trama quanto meno nella connotazione dei personaggi.

La più evidente è sicuramente quella riguardante il personaggio di Mina (Winona Ryder) che nella versione di Coppola diventa una sorta di reincarnazione della sposa perduta del Conte Vlad creando così il terreno per una storia d’amore e di sangue che attraversa i secoli e che giustifica e nobilita la vampiresca condizione di Dracula.

I have crossed oceans of time to find you. 

Appare più che evidente l’intenzione del regista di farci in qualche modo parteggiare per questo povero Conte infelice che si auto condanna all’eternità della non-morte per vendicare e ritrovare la sua amata. E se si pensa che, a contendersi l’amore di Mina, c’è da una parte l’affascinante Gary Oldman nei panni del Conte Vlad e dall’altra l’insipido Keanu Reeves in veste di Jonathan Harker, non è neanche poi così difficile fare il tifo per il vampiro.

Coppola crea un Dracula lontano dagli stereotipi del mostro privo di qualsiasi profondità ed univocamente malvagio e ne tira fuori un personaggio triste, decadente ed estremamente carismatico. Il Dracula di Coppola è pervaso di una prepotente sensualità che fa parte essa stessa del potere del vampiro e finisce col travolgere tutti coloro che entrano in contatto con lui.

I was betrayed. Look what your God has done to me! 

Un’altra differenza abbastanza notevole si trova nel personaggio di Van Helsing, che nel libro è serio, gentile e pacato mentre qui – interpretato da un come sempre ottimo Anthony Hopkins – è una sorta di cacciatore dal carattere eccentrico e dalle inquietanti capacità.

Yeah, she was in great pain! Then we cut off her head, and drove a stake through her heart, and burned it, and then she found peace. 

Per il resto, scenografie grandiose, curate in ogni dettaglio, attenzione maniacale per le inquadrature – con ripetuto impiego di dissolvenze sovrapposte per creare giochi di immagini che nascono l’una dall’altra – trionfo dell’estetica goticheggiante e copiose (nonché voluttuose) quantità di sangue.

E’ un gran bel film, niente da dire. Coppola ha fatto con Dracula quello che Jackson ha fatto con Il Signore degli Anelli, dando vita ad una versione cinematografica completa, che non lascia inespresso nessuno spunto fornito dal testo di partenza.

Cinematografo & Imdb.

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Deliri del lunedì.

Quando qualcuno dice headbanging e la prima parola che ti viene in mente è cervicale

Antefatto

Sera. Interno di un locale, seduta ad un tavolo in amabile conversazione con un’amica.

Io: …no, perchè alla fine penso di avere più problemi con l’autorità di quanto mi piaccia ammettere…

Il mattino dopo

Interno. Bagno. Sottofondo: Buongiorno Doctor Feelgood – Virgin Radio

Sono più in ritardo del solito ma non sembro esserne particolarmente turbata. Anzi. Incurante dell’ora continuo ad indulgere in inconcludenti pratiche che comportano l’impiego di un mascara viola nuovo di zecca (donatomi dall’amica della sera precedente).

Radio: …e l’argomento di oggi è…Puntuali vs Ritardatari…

Io: mi volto indispettita verso la radio con l’espressione più tamarra che riesco a riesumare del tipo bècheccazzovuoi?

Radio: …gli psicologi sostengono che i ritardatari cronici sono generalmente persone con un ego particolarmente ingombrante e che hanno problemi a rapportarsi con l’autorità. […] …e sì, insomma, il ritardo cronico è una manifestazione del senso di soffocamento provocato dall’autorità…

Io: ——————-

Com’era già?

Talvolta la vita rigurgita coincidenze che nessun autore di narrativa oserebbe copiare.

Ecco, sì, proprio quella roba lì.

Ho intenzione di parlare anche di qualcosa? Sì, direi di sì, visto che c’è un’ingombrante locandina che troneggia sopra tutto ciò.

Eyes Wide Shut, Kubrick, 1999.

L’ultimo film di Kubrick. C’è qualcosa che si possa dire che non sia già stato detto? Quasi sicuramente no. Penso che sia stato il film più criticato e controverso di questo regista e penso che lo sia stato in buona parte proprio perchè è stato l’ultimo. Finalmente tutti si sono sentiti liberi di sbizzarrirsi senza il timore che una replica da parte di Kubrick stesso infliggesse loro una colossale figura di merda.

E quindi via libera ai cliché che si sono costruiti. Leggende sulla rottura Cruise/Kidman ad alimentare l’aura di maledettismo che avvolgeva l’’idea di lavorare con Kubrick già dai tempi di Shining e dell’esaurimento nervoso di Shelley Duvall. Voci più o meno fondate sulla versione finale: fedele o meno alle direttive del regista? Esperimento pseudo-erotico dalle incerte aspirazioni voyeuristiche. Evidenti segni di declino. E insomma, chi più ne ha più ne metta.

Ho rivisto questo film diverse volte. Mi è piaciuto fin da subito ma l’ho capito solo in un secondo momento. Adesso è uno di quei film che amo moltissimo e che continua a stupirmi ogni volta.

Certo, non è perfetto. Non è il capolavoro cinematografico che sono Arancia Meccanica o Shining. Per esempio, un grosso difetto – non da poco peraltro – è la scelta di Tom Cruise. Motivata dal fatto che Cruise era davvero il marito della Kidman – dal momento che era essenziale che la coppia protagonista fosse anche una coppia reale – e, se vogliamo, anche comprensibilmente giustificata dato che lei compensa e ripaga ampiamente per le mancanze di lui, ma comunque una scelta infelice. Cruise decisamente non è adatto alla parte. Il suo era un ruolo che richiedeva tutt’altra raffinatezza e anche tutt’altra presenza scenica. In Cruise c’è sempre quel sottofondo grezzo alla Top Gun che rischia di venir fuori persino sotto la direzione rigida di un regista come Kubrick.

Resta il fatto che i due protagonisti insieme funzionano e con loro anche tutto il film.

Parola d’ordine: Fidelio. La parola per entrare alla misteriosa festa mascherata. La parola chiave per leggere tutto il film. Fondamentalmente Kubrick inscena un tormentato balletto in onore della Fedeltà. Dei suoi lati positivi e di quelli più oscuri. Dell’amore che la reclama e del tormento che essa infligge a chi pure la desidera. E’ una celebrazione dello sconfinato potere della mente.

Teoricamente ispirato al racconto di Schnitzler, Traumnovelle, di fatto del testo non conserva quasi nulla se non lo spunto – peraltro molto vago – del concetto del “doppio sogno”, e della deviazione onirica/mentale come fuga dalla realtà effettiva. Non che questo sia una novità, dal momento che ogni volta che Kubrick si è ispirato ad un libro, del nucleo originario è sempre rimasto ben poco che non fosse trasfigurato dalla sua lente.

Da un punto di vista squisitamente psicologico EWS è al tempo stesso crudele e impeccabile. Alcuni dialoghi sono di un realismo disarmante nella loro imperfezione, nelle loro falle di logica così plausibili e istintive – primo fra tutti quello in camera da letto con la confessione di lei.

La camera da letto stessa, è di fatto, anche se non lo è fisicamente, il luogo dove si svolge tutta la vicenda.

E poi potrei andare avanti dilungandomi sulla bellezza e sulla bravura di Nicole Kidman, sulla bellezza di tutta l’ambientazione – a partire dalla casa della coppia fino alle camminate per le strade notturne – su quel senso di retrò che il film trasmetteva anche quando era appena uscito e che riesce ad arricchire la storia di una dimensione atemporale.

E poi ci sono quelle battute finali che sono a dir poco geniali.

Alice Harford: I do love you and you know there is something very important we need to do as soon as possible. 
Dr. Bill Harford: What’s that? 
Alice Harford: Fuck. 

Cinematografo & Imdb.

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No, questo non c’entra niente con il post.

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