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Archive for the ‘Roanoke’ Category

Attesa con impazienza, come sempre, questa sesta stagione di AHS mi vede per la prima volta un tantino tiepida nelle mie reazioni.

Sarò molto spoilerosa, un po’ perché altrimenti non si riesce a dire quasi niente e poi anche perché se no non posso lamentarmi come si deve.

Dunque.

Primo appunto che mi è subito venuto da fare, prima ancora di cominciare la visione vera e propria: la sigla.

Ce l’hanno tolta, rubata, tessssoro…

Non mi hanno messo la sigla.

Io la aspettavo perché è proprio una cosetta tipica la sigla di AHS con le sue varianti stagionali. Fa parte del rituale.

E invece niente.

Sì, c’è una versione del motivetto chiave – che si sente prevalentemente nei titoli di coda – e c’è un format ricorrente per l’introduzione.

Ma non c’è la sigla.

Ma partiamo con le puntate.

La struttura è quella di un finto reality show. Una sorta di programma verità in cui i veri protagonisti raccontano la loro storia e degli attori sullo schermo la rimettono in scena.

Nel caso specifico il reality si chiama My Roanoke Nightmare e vede al centro Shelby (Lily Rabe) e Matt (André Holland) – a loro volta reinterpretati da Audrey Tindall (Sarah Paulson) e Dominic Banks (Cuba Gooding Jr.) – che raccontano le terribili vicende che li hanno coinvolti dopo essersi trasferiti da Los Angeles in una vecchia casa isolata nella Carolina del Nord.

Le interviste dei protagonisti reali si alternano quindi alla ricostruzione scenica degli eventi e, tolta questa impostazione di cornice, la struttura iniziale è sostanzialmente quella da luogo infestato.

Casa isolata, vicini sospetti, fatti inspiegabili che gradualmente minano la tranquillità della coppia fino a sgretolarne l’equilibrio e, soprattutto, l’unità.

Nella casa accadono cose strane. Sono forse i Polk, i proprietari confinanti, che si vogliono vendicare per non essere riusciti ad acquistare la casa? O semplicemente perché Shelby è bianca e Matt è nero?

Quale che sia la realtà, sta di fatto che la situazione si fa via via sempre più tesa e, per non lasciare da sola Shelby quando lui è via per lavoro, Matt fa trasferire nella casa anche sua sorella, Lee (anche qui doppio personaggio – Adina Porter quella vera e Angela Bassett alias Monet Tumusiime per l’interprete).

La creazione iniziale dell’atmosfera è buona e i dettagli inquietanti non mancano, con un fantomatico uomo-maiale, una coppia di infermiere assassine e un bosco nel quale perdersi e nel quale continuano a compiersi riti di un passato lontano.

La casa sorge sul terreno dell’antica colonia perduta di Roanoke e la Macellaia (Kathy Bates per MRN), signora della colonia, non tollera che si invada la sua terra.

Nel terzo episodio compare Lady Gaga, anche se me ne sono accorta solo perché c’era scritto nei titoli di coda perché non l’avevo riconosciuta.

Dal quarto episodio in poi si nota una brusca accelerazione di eventi e trama. Talmente brusca da risultare un tantino dannosa in termini di atmosfera e coerenza al punto da far sembrare alcuni sviluppi un filo pretestuosi. Non che si pretenda perfetta plausibilità, il livello di AHS deve avere almeno una componente di pretestuosità, però qui è un po’ forzato.

Si capisce il perché dell’accelerata nel quinto episodio, che di fatto è il finale del reality fittizio.

La sesta stagione di AHS è nettamente spezzata in due e la seconda parte è impostata come il making of della ipotetica seconda stagione di My Roanoke Nightmare.

Con tutto quello che questa scelta comporta – e quindi parliamo di metateatralità interna, di autoreferenzialità, di autoironia della Hollywood delle serie tv verso se stessa. Il tutto condito con una fortissima componente social che diventa sempre più preponderante dopo lo scollinamento nella seconda metà della stagione.

Attori e personaggi reali si ritrovano insieme perché il produttore li rivuole tutti riuniti nella casa e questa volta non in un periodo qualsiasi ma proprio nel periodo in cui, se si crede ai racconti, si scatenano le forze paranormali.

E anche qui, scatole cinesi come se non ci fosse un domani, con l’incontro tra gli attori e i loro personaggi o – se si preferisce, tra le persone reali e la loro versione televisiva. E le telecamere dappertutto, certo, ma anche l’indicazione di integrare le riprese fisse con riprese a mano fatte con i telefonini.

Ed ecco che il reality diventa tutti con il telefonino in mano, tutti che ammazzano tutti – sempre filmando – in un crescendo che è troppo calcato per non risultare volutamente paradossale e parodistico.

E questo fa del reality in sé il vero e più terrificante elemento di orrore.

Il lato horror dell’era social.

Non è che l’intento non si capisca, ma avrebbe potuto essere realizzato meglio e non mi ha lasciata particolarmente entusiasta.

Se nella prima parte il canone era quello da casa infestata, in questa seconda parte prevalgono i riferimenti ai classici del mockumentary e dell’amatoriale, da Blair Whitch Project in poi, con una consistente e inconfondibile variante in direzione di Leatherface e di Non aprite quella porta per la parte riservata agli amabili vicini di casa Polk.

Personalmente ho trovato un po’ fastidiose alcune cose tra cui anche l’aver spezzato la stagione in due. E poi ho mal sopportato tutta la parte di riprese a mano con i telefonini. In generale non sono particolarmente ostile al genere finto amatoriale ma qui andava ad aumentare una situazione già un po’ troppo confusa.

Ci sono un sacco di idee che, pur partendo dal fatto che comunque sono già state viste, potevano riuscire o non riuscire al 50 e 50 a seconda di come si sceglieva di sfruttarle.

In questo caso secondo me la riuscita non è stata ottimale.

Un po’ forse anche per ragioni di spazi. Se 5 episodi erano già strettini per la prima parte – che per lo meno era lineare – per la seconda sono veramente tirati per i capelli col risultato che tutta la faccenda dei personaggi nei personaggi diventa più un casino che altro.

C’è troppa roba in troppo poco spazio e l’effetto è che i personaggi si perdono. I ruoli perdono spessore e si riducono quasi tutti a poco più che camei di se stessi o quasi.

Se a questo si aggiunge un’ulteriore semi virata nel finale con variante in chiave finta cronaca e un’ulteriore passaggio ad una situazione in stile Dark Water l’esito è che la conclusione della serie dà l’impressione di essere piuttosto posticcia.

Splatter in crescendo costante col progredire degli episodi, con una certa predilezione per maiali squartati e intestini – forse sul set avevano un eccesso di budella perché lo sventramento va per la maggiore.

La casa è fighissima. Le due finestre piazzate tipo occhi, anche se rotonde, richiamano inevitabilmente alla mente Amytiville.

Continuo a non levarmi dalla testa di averla già vista e per struttura mi ricorda moltissimo l’interno di Asylum anche se devo verificare quali siano effettivamente le scenografie utilizzate.

Manco a farlo apposta, questa stagione segue la scia di Freak Show e crea un collegamento diretto proprio con Asylum.

Il personaggio della Macellaia di Kathy Bates – oltre ad essere uno dei migliori della stagione grazie all’ottima Kathy – ricorda molto Madame de Lalaurie di Coven, così come la testa di maiale ricorda quella di toro, sempre in Coven.

Ruoli anche per Evan Peters e Wes Bentley – anche se piccoli, come per tutti del resto. Diversi camei di altri membri del cast storico – Frances Conroy, Finn Wittrock, Taissa Farmiga, Denis O’Hare e così via.

Si sente la mancanza di Jessica Lange molto più che in Hotel.

In definitiva, decisamente non tra le mie preferite. Al momento all’ultimo posto della mia classifica personale.

Ora posso ufficialmente cominciare ad aspettare con impazienza Cult che, da quel che ho sentito in giro, pare rialzare di molto il livello.

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