Come dice il proverbio: mi freghi una volta vergogna a te, mi freghi due vergogna a me, mi freghi tre vergogna a entrambi.
Ecco, qui non so se sono nel secondo o nel terzo caso, a seconda che si consideri solo Noah – se vogliamo rimanere in ambito strettamente biblico – o se consideriamo anche Godzilla (quello dell’anno scorso), in termini di action movie.
La parola chiave rimane comunque “fregatura”.
Ennesima fregatura che mi son presa perché mi son fatta abbindolare dal trailer.
Che poi, per carità, non è che mi aspettassi chissà cosa.
C’era una volta un mondo in cui il nome di Ridley Scott era una garanzia. Ma prima o poi tocca pure guardare in faccia la realtà e quel mondo ormai è finito. E da un bel pezzo per giunta. Ché abbiamo un bel ripeterci come un mantra sì-ma-è-il-regista-di-Blade-Runner-e-di-Alien…Blade Runner e Alien li ha diretti rispettivamente nel 1982 e nel 1979. Poi, per carità, non è che non abbia fatto altri film egregi dopo, però nel corso degli anni la sua produzione è diventata quanto meno altalenante.
Sto scorrendo avanti e indietro la filmografia di questo regista e ok, Il gladiatore (2000) ha fatto epoca ed era effettivamente un buon film nel suo genere, e anche American Gangster (2007) era un gran bel film, così come Nessuna verità (2008). Però in mezzo ci sono state cose come Le crociate (2005), discretamente imbarazzante, e Un’ottima annata (2006), che non ho visto ma sul quale ho sentito giudizi piuttosto perplessi.
E poi c’è l’ultimissima fase, che comincia dopo Nessuna Verità, con quel Robin Hood di cui non si sentiva assolutamente il bisogno e che ancora non ho digerito, con i suoi barconi da sbarco in Normandia ante-litteram. E Prometheus, che non ci sono vie di mezzo, è una cagata colossale.
E The Counselor, dell’anno scorso, che non è orrendo ma è piuttosto mediocre.
Niente da fare. Ridley sta perdendo colpi. E il fatto che nella programmazione del 2015 ci veda un Prometheus 2 forse è indice del fatto che non se ne sta mica rendendo troppo conto. Forse sarebbe carino che qualcuno glielo facesse cautamente notare.
Exodus – Dei e Re.
Allora. Va detto che questo filone neo-biblico-fantasy-catastrofico, proprio non riesce a piacermi. Però un film fatto male da uno fatto bene lo distinguo comunque, anche se il genere non mi aggrada.
E questo Exodus è fatto piuttosto maluccio, in verità.
Ripeto, non mi aspettavo chissà cosa. Mi aspettavo che la vicenda fosse una specie di pretesto per dare il via allo sbizzarrirsi di effetti speciali, battaglie e quant’altro. Mi aspettavo una carnevalata action divertente e piena di catastrofi scenografiche.
E invece no.
Ridley se la prende a cuore, la vicenda di Mosè. La racconta in dettaglio (non necessariamente un dettaglio fedele all’originale) e imbastisce una trama di gelosie di palazzo degna di un feuilleton.
Il tutto alternato all’evoluzione della coscienza di Mosè che prima rifiuta la sua appartenenza al popolo ebraico, poi vede Dio, si illumina e comincia a fare cose che prima non avrebbe mai fatto, apparentemente contro ogni buonsenso.
Il risultato è che il film si trascina un po’ per i primi due terzi, tra intrighi, strategie ed elucubrazioni, e concentra tutta l’azione vera e propria nella parte finale, con l’effetto di sciupare buona parte degli effetti speciali e dell’impatto scenografico.
Le piaghe d’Egitto arrivano in sequenza, una dopo l’altra, velocemente, senza che si abbia il tempo di assimilarle in un contesto, il che fa sì che perdano buona parte della loro potenza. Non è che visivamente siano fatte male, è solo che sono tirate via malamente, senza spazio, quasi senza pathos.
Sì, quella del Nilo rosso è bella ed è venuta particolarmente bene, ma le altre si susseguono troppo rapidamente perché possano essere apprezzate.
Anche la scena dell’onda gigante – che sì, dai, siamo andati tutti a vedere il film per quella cazzo di ondona – non è che sia poi chissà che.
Da un punto di vista di plausibilità, è sicuramente molto azzeccata la scelta di far ritirare il Mar Rosso in una sorta di bassa marea estrema e innaturale, piuttosto che rifare i muraglioni d’acqua dei Dieci Comandamenti del 1956.
Però resta il fatto che l’onda che arriva dopo non è fatta particolarmente bene. Ok, l’acqua è una rogna da digitalizzare decentemente, ma, come effetto, pare di non essersi evoluti poi molto rispetto a Deep Impact.
E poi è innegabile che ogni volta che si assiste a grandi scene di catastrofi o battaglie, il pensiero che colpisce la mente prima che lo si possa fermare è che sì, ok, figo, ma Peter Jackson l’avrebbe fatto meglio (e intanto Jackson non è stato così sprovveduto da andarsi a impelagare con gli effetti d’acqua).
Fatte le dovute proporzioni con i tempi, il film del ’56 era molto più avanti come tecniche ed effetti, rispetto a questo qui.
Nel complesso non offre niente che non si sia già visto e rivisto. Le battaglie sono sempre quelle del Signore degli Anelli, le piogge di frecce idem, solo meno coinvolgenti.
Il cast è prevalentemente valido ma non spicca e si limitano tutti a fare il loro mestiere. Da Christian Bale nel ruolo del protagonista, purtroppo sempre doppiato da Adriano Giannini e quindi sempre tendente al romanesco, a Ben Kingsley; da Sigourney Weaver a John Turturro. Joel Edgerton nei panni di Ramses riuslta invece piuttosto stonato. Non fa una gran figura, questo faraone. E non perché non è un personaggio positivo, ma perché sembra proprio un po’ scemo. Sempre con sta faccia stralunata, queste espressioni appiccicate e questo sembrare sempre capitato per caso nel posto in cui si trova. Parte relativamente minore anche per Aaron Paul (Jesse di Braking Bad).
Poteva essere carina l’idea di rappresentare il tramite di Dio che parla a Mosè come un bambino. Non che fosse ‘sto picco di originalità da un punto di vista iconografico, ma almeno era un po’ insolito in ambito cinematografico. Peccato che abbiano scelto un ragazzino che tutto ispira tranne che simpatia. Figuriamoci devozione e obbedienza.
Morale. Mah, non è proprio un brutto film, alla fine ‘sti 150 minuti passano pure. Però se ne può fare tranquillamente a meno.
Cinematografo & Imdb.
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