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Archive for the ‘R. Scott’ Category

La storia – vera – del rapimento, a Roma nel 1973, di John Paul Getty III, nipote del celebre e ricchissimo magnate del petrolio John Paul Getty.

Di come l’avaro riccastro si sia rifiutato di pagare il riscatto, di come abbia lasciato che al ragazzo venisse tagliato un orecchio e di come l’ex nuora, Gail, sia stata costretta ad un’assurda corsa contro il tempo per cercare di mettere insieme i soldi per liberare suo figlio.

I tentativi inutili di comunicare con un uomo totalmente anaffettivo e impossibile da distogliere dal suo unico vero interesse: fare soldi. Le negoziazioni al telefono con i rapitori per avere più tempo.

Nessuno crede che Gail non abbia i soldi. Divorziata o meno, è pur sempre una Getty. Almeno in teoria.

Comincio a pensare di avere un problema con Ridley Scott. O forse è solo lo strascico dell’ultimo Alien (e di Prometheus) Non so. Sta di fatto che mi aspettavo qualcosa di meglio da questo film.

Tralasciando tutta la faccenda della scelta discutibile di sostituire Spacey a un mese dall’uscita, non è che si possano muovere delle reali critiche perché è tutto tecnicamente impeccabile. Ritmo, regia, interpretazioni.

Eppure manca qualcosa. Manca empatia. Manca coinvolgimento.

Le candidature ai Globes potevano anche starci ma va più che bene che siano andate a vuoto. Christopher Plummer, Michelle Williams, Mark Wahlberg sono sicuramente molto bravi ma – soprattutto la Williams e Wahlberg – mancano di un reale carisma. Non sono sufficientemente forti da tirarti dentro la storia.

Manca un ruolo forte, accentratore. Manca il vero volto del film.

Apprezzabile il fatto che non si sia lasciato tirare dalla facile via dei cliché sull’ambientazione italiana.

Nel cast anche Timothy Hutton.

In definitiva, moderatamente consigliato.

Cinematografo & Imdb.

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Mah.

Premetto che, come dicevo anche l’altra settimana, non sono molto ferrata sulla fantascienza e son pure parecchio impreparata sulla saga di Alien.

Però.

Però, pur con tutta la buona volontà e con le dovute cautele, questo Alien Covenant proprio non mi convince.

E, manco a farlo apposta, appena dopo aver ricordato l’imbarazzante esito del tentativo di Ridley Scott di rinverdire i fasti della sua antica creatura con quella roba piuttosto penosa che era Prometheus, vado a scoprire che questo ennesimo capitolo non è un sequel del quarto film (La clonazione) – che già non era strettamente necessario – ma il sequel del prequel – che anche a scriverlo mi sento un po’ cogliona – ossia il sequel proprio di quell’imbarazzante Prometheus.

Devo dedurre che Ridley non abbia percepito suddetto imbarazzo ma che, anzi, sia tuttora convinto di aver avuto una buona idea.

Torno a dire: mah.

Astronave carica di umani da trasmigrare su un nuovo pianeta si vede costretta ad una deviazione e finisce su un pianeta apparentemente adatto ma ovviamente letale.

Sul perché e percome finiscano esattamente lì e sull’esito stesso delle loro scoperte in loco, devo ammettere di essere tuttora un po’ confusa.

Ci sono gli alieni cattivi.

Gli astronauti muoiono ad uno ad uno in perfetto stile slasher.

C’è un’onesta quantità di sangue.

C’è molto buio – di quella tonalità crepuscolare in cui io faccio fatica abbestia a mettere a fuoco e che dopo i primi dieci minuti mi maldispone anche in presenza di un film che mi garba.

Ci sono due Michael Fassbender – ma può anche essere colpa della luce e magari ho visto male io.

Ci sono vedovanze che piovono a destra e a manca visto che più che un equipaggio sembra un gruppo di sostegno matrimoniale – il tuo matrimonio è in crisi? Qualche anno di criosonno nello spazio e vedrai che tutto si aggiusterà.

C’è un cast nettamente inferiore anche a quello di Prometheus – Katherine Waterston è carina e coccolosa ma non è paragonabile neanche a Noomi Rapace (Segourney Weaver non la nomino neanche per decoro).

Ci sono diverse citazioni tributo ai film della saga originaria – le ho colte persino io quindi suppongo debbano essercene almeno il doppio.

Gli alieni cattivi li ho già detti?

E niente. Speravo meglio. L’alienone storico è sempre figo ma lo fanno vagare tra le rovine di una sceneggiatura peggio che traballante e il tutto pare proprio un po’ buttato via.

Cinematografo & Imdb.

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Ridley Scott lo si va a vedere perché è Ridley Scott. E alla fine va anche bene così. E’ comunque un dato di fatto che negli ultimi anni non é che abbia sfornato proprio dei capolavori. Tanto per rimanere in ambito spaziale, dopo Prometheus avevo ben più di una preoccupazione, andando a vedere questo The Martian.

Parentesi. E grazie come sempre per il sotto/sopra-titolo indispensabile. Già che c’erano potevano mettere il sopravvissuto su Marte, così lo spiegavano ancora meglio. Se proprio non potevano resistere alla tentazione di tradurlo, potevano almeno usare il titolo italiano del libro di Andy Weir, L’uomo di Marte – da cui il film è tratto – che andava tanto bene e, nel caso, chiariva subito l’equivoco specificando che si tratta di un uomo e non di una nuova creatura aliena. Ma vabbè. Chiusa parentesi.

Ad ogni modo, preoccupata o meno, è andata a finire che ho dovuto rimangiarmi i miei pregiudizi, perché The Martian non è male per niente. Ed è anche un po’ insolito, per i canoni dello zio Ridley.

The Martian è un film allegro, a suo modo. Anche divertente a tratti. E’ un film positivo e avvincente.

L’astronauta Mark Watney, a causa di un incidente, si ritrova da solo in una stazione spaziale su Marte, abbandonata prematuramente dall’equipaggio di cui faceva parte anche lui. Ha di che sopravvivere ma non per molto. Deve aspettare la prossima missione. Si parla di anni.

Ha delle scorte ma non sono sufficienti. Deve ingegnarsi. Ha un’intera stazione spaziale e un sacco di bei giocattolini di marca Nasa con cui sbizzarrirsi. Ha le sue conoscenze di astronauta e di botanico. E ha tempo per capire come utilizzare tutto ciò per salvarsi.

Matt Damon è davvero bravo e dà vita ad un personaggio vivo, umano, vero. E’ un uomo dalla volontà ferrea. E’ forte ed è solo. La solitudine è palpabile e schiacciante. E’ il volto di Mark ed è il suo monologo alla telecamera. I momenti in cui si intravede la possibilità di arrendersi ma non si lascia che venga allo scoperto. L’interpretazione di Damon è intensa e discreta, priva di eroismi eccessivi o sentimentalismi.

Nel cast anche Jessica Chastain, di nuovo nello spazio dopo Interstellar, nei panni del capitano dell’equipaggio di cui faceva parte anche Mark.

Sul fronte Nasa abbiamo Jeff Daniels, Sean Bean (che, tra le altre cose, ad un certo punto regalano una piccola perla in termini di citazioni cinematografiche – e non solo) e Chiwetel Ejiofor (12 anni schiavo).

Il ritmo è veloce, prende dal primo momento. La parte scientifica è fluida e descritta quel tanto che basta per far da supporto allo scorrere della narrazione. Forse non accuratissima ma intuitivamente comprensibile e, in ogni caso, sufficientemente plausibile.

Bello anche visivamente, con le sconfinate ed ostili distese rosse di Marte che sono al tempo stesso cornice e amplificatore per la solitudine di Mark, minuscolo essere umano, unico essere vivente su un pianeta, prima ancora che scienziato, astronauta, botanico.

Bello. Consigliatissimo.

Cinematografo & Imdb.

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Matt Damon portrays an astronaut who faces seemingly insurmountable odds as he tries to find a way to subsist on a hostile planet.

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Come dice il proverbio: mi freghi una volta vergogna a te, mi freghi due vergogna a me, mi freghi tre vergogna a entrambi.

Ecco, qui non so se sono nel secondo o nel terzo caso, a seconda che si consideri solo Noah – se vogliamo rimanere in ambito strettamente biblico – o se consideriamo anche Godzilla (quello dell’anno scorso), in termini di action movie.

La parola chiave rimane comunque “fregatura”.

Ennesima fregatura che mi son presa perché mi son fatta abbindolare dal trailer.

Che poi, per carità, non è che mi aspettassi chissà cosa.

C’era una volta un mondo in cui il nome di Ridley Scott era una garanzia. Ma prima o poi tocca pure guardare in faccia la realtà e quel mondo ormai è finito. E da un bel pezzo per giunta. Ché abbiamo un bel ripeterci come un mantra sì-ma-è-il-regista-di-Blade-Runner-e-di-Alien…Blade Runner e Alien li ha diretti rispettivamente nel 1982 e nel 1979. Poi, per carità, non è che non abbia fatto altri film egregi dopo, però nel corso degli anni la sua produzione è diventata quanto meno altalenante.

Sto scorrendo avanti e indietro la filmografia di questo regista e ok, Il gladiatore (2000) ha fatto epoca ed era effettivamente un buon film nel suo genere, e anche American Gangster (2007) era un gran bel film, così come Nessuna verità (2008). Però in mezzo ci sono state cose come Le crociate (2005), discretamente imbarazzante, e Un’ottima annata (2006), che non ho visto ma sul quale ho sentito giudizi piuttosto perplessi.

E poi c’è l’ultimissima fase, che comincia dopo Nessuna Verità, con quel Robin Hood di cui non si sentiva assolutamente il bisogno e che ancora non ho digerito, con i suoi barconi da sbarco in Normandia ante-litteram. E Prometheus, che non ci sono vie di mezzo, è una cagata colossale.

E The Counselor, dell’anno scorso, che non è orrendo ma è piuttosto mediocre.

Niente da fare. Ridley sta perdendo colpi. E il fatto che nella programmazione del 2015 ci veda un Prometheus 2 forse è indice del fatto che non se ne sta mica rendendo troppo conto. Forse sarebbe carino che qualcuno glielo facesse cautamente notare.

Exodus – Dei e Re.

Allora. Va detto che questo filone neo-biblico-fantasy-catastrofico, proprio non riesce a piacermi. Però un film fatto male da uno fatto bene lo distinguo comunque, anche se il genere non mi aggrada.

E questo Exodus è fatto piuttosto maluccio, in verità.

Ripeto, non mi aspettavo chissà cosa. Mi aspettavo che la vicenda fosse una specie di pretesto per dare il via allo sbizzarrirsi di effetti speciali, battaglie e quant’altro. Mi aspettavo una carnevalata action divertente e piena di catastrofi scenografiche.

E invece no.

Ridley se la prende a cuore, la vicenda di Mosè. La racconta in dettaglio (non necessariamente un dettaglio fedele all’originale) e imbastisce una trama di gelosie di palazzo degna di un feuilleton.

Il tutto alternato all’evoluzione della coscienza di Mosè che prima rifiuta la sua appartenenza al popolo ebraico, poi vede Dio, si illumina e comincia a fare cose che prima non avrebbe mai fatto, apparentemente contro ogni buonsenso.

Il risultato è che il film si trascina un po’ per i primi due terzi, tra intrighi, strategie ed elucubrazioni, e concentra tutta l’azione vera e propria nella parte finale, con l’effetto di sciupare buona parte degli effetti speciali e dell’impatto scenografico.

Le piaghe d’Egitto arrivano in sequenza, una dopo l’altra, velocemente, senza che si abbia il tempo di assimilarle in un contesto, il che fa sì che perdano buona parte della loro potenza. Non è che visivamente siano fatte male, è solo che sono tirate via malamente, senza spazio, quasi senza pathos.

Sì, quella del Nilo rosso è bella ed è venuta particolarmente bene, ma le altre si susseguono troppo rapidamente perché possano essere apprezzate.

Anche la scena dell’onda gigante – che sì, dai, siamo andati tutti a vedere il film per quella cazzo di ondona – non è che sia poi chissà che.

Da un punto di vista di plausibilità, è sicuramente molto azzeccata la scelta di far ritirare il Mar Rosso in una sorta di bassa marea estrema e innaturale, piuttosto che rifare i muraglioni d’acqua dei Dieci Comandamenti del 1956.

Però resta il fatto che l’onda che arriva dopo non è fatta particolarmente bene. Ok, l’acqua è una rogna da digitalizzare decentemente, ma, come effetto, pare di non essersi evoluti poi molto rispetto a Deep Impact.

E poi è innegabile che ogni volta che si assiste a grandi scene di catastrofi o battaglie, il pensiero che colpisce la mente prima che lo si possa fermare è che sì, ok, figo, ma Peter Jackson l’avrebbe fatto meglio (e intanto Jackson non è stato così sprovveduto da andarsi a impelagare con gli effetti d’acqua).

Fatte le dovute proporzioni con i tempi, il film del ’56 era molto più avanti come tecniche ed effetti, rispetto a questo qui.

Nel complesso non offre niente che non si sia già visto e rivisto. Le battaglie sono sempre quelle del Signore degli Anelli, le piogge di frecce idem, solo meno coinvolgenti.

Il cast è prevalentemente valido ma non spicca e si limitano tutti a fare il loro mestiere. Da Christian Bale nel ruolo del protagonista, purtroppo sempre doppiato da Adriano Giannini e quindi sempre tendente al romanesco, a Ben Kingsley; da Sigourney Weaver a John Turturro. Joel Edgerton nei panni di Ramses riuslta invece piuttosto stonato. Non fa una gran figura, questo faraone. E non perché non è un personaggio positivo, ma perché sembra proprio un po’ scemo. Sempre con sta faccia stralunata, queste espressioni appiccicate e questo sembrare sempre capitato per caso nel posto in cui si trova. Parte relativamente minore anche per Aaron Paul (Jesse di Braking Bad).

Poteva essere carina l’idea di rappresentare il tramite di Dio che parla a Mosè  come un bambino. Non che fosse ‘sto picco di originalità da un punto di vista iconografico, ma almeno era un po’ insolito in ambito cinematografico. Peccato che abbiano scelto un ragazzino che tutto ispira tranne che simpatia. Figuriamoci devozione e obbedienza.

Morale. Mah, non è proprio un brutto film, alla fine ‘sti 150 minuti passano pure. Però se ne può fare tranquillamente a meno.

Cinematografo & Imdb.

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Ridley Scott è uno di quei registi che sembrano esserci da sempre. Per certi versi è una sorta di pilastro del cinema contemporaneo. Quindi spiace pure un po’ criticarlo, ma sta di fatto che negli ultimi anni ha preso diverse cantonate. L’ultimo suo film veramente bello che ricordo è American Gangster, del 2007. Poi c’è stato Nessuna verità (2008), ben costruito, ottimo cast, ma di sicuro non indimenticabile. Poi il Robin Hood del 2010 che, devo proprio dirlo, io non l’ho mai digerito. Con tutte quelle pretese pseudo-storiche e quella specie di sbarco in Normandia. Su Prometheus mi sono già dilungata tempo fa e per adesso mantiene ancora il primato come suo peggior film.

The Counselor prometteva bene. Il cast di nomi giganteschi e la sceneggiatura originale di Cormac McCarthy promettevano risultati brillanti.

Invece questo procuratore – che poi nel film viene chiamato sempre e solo avvocato per un problema di traduzione dei ruoli tra le figure legali americane ed europee – risulta piuttosto deludente.

Lascia la sensazione di non aver visto assolutamente niente di eccezionale. Con un retrogusto come di occasione sprecata, dato il materiale di partenza.

Non saprei neanche a chi imputare la maggiore responsabilità di questo risultato così misero. Immagino sia un misto di una sceneggiatura forse troppo pretenziosa e alla fine mal gestita e una regia troppo standard, troppo inquadrata nei parametri del genere.

Fin dall’inizio pare che l’impostazione sia quella di tanti fronti di storie diverse che convergono tutti nella medesima vicenda o che comunque in qualche modo vi restano coinvolti. Niente di originale di per sé ma quello dei frammenti che si ricompongono è un espediente sempre ricco di potenzialità e possono venir fuori cose interessanti. Peccato che ad un certo punto la tensione di tutti questi filoni si allenta ed è come se si perdesse un po’ la rotta della trama. Personaggi risolti troppo in fretta, spiegazioni sempre più lacunose come se ci fosse stata fretta di finire.

Poi, ripeto, il cast è ottimo e loro sono tutti bravissimi. Michael Fassbender – l’avvocato, appunto – Brad Pitt, Cameron Diaz – bellissima anche se visibilmente invecchiata – Penelope Cruz, Javier Bardem, insomma sotto questo aspetto non si può proprio dire niente.

Solo che, alla fine, l’insieme non funziona. Almeno non del tutto. Non che ci siano incoerenze o grossolanità. E’ che il tutto risulta terribilmente banale.

E poi c’è pure un po’ troppo sesso. Soprattutto verbale. Non è una considerazione di carattere moralistico, sia chiaro. Ci sono delle lunghe scene di argomento erotico dove il sesso viene in qualche modo o raccontato o vissuto a parole che non sono assolutamente inserite nella vicenda e risultano appiccicate a caso. Con l’effetto collaterale che si allenta parecchio la tensione dalla trama principale mentre la connotazione dei personaggi non ne viene minimamente arricchita. Così come un’altro aspetto un po’ fuori luogo sono gli abbozzi di riflessione etica buttati qua e là in mezzo ai dialoghi. Tentativi abortiti di alzare il livello di quello che altro non è che un comunissimo film sul traffico di droga, sulla criminalità, sul solito mondo illegale che si è già visto e rivisto.

Film un po’ inutile, tutto sommato. Voleva essere troppe cose insieme.

Cinematografo & Imdb.

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Still from The Counsellor, the new film from director Ridley Scott

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Ho già avuto modo di esprimerlo qui sopra, la fantascienza non è esattamente il mio genere. Ogni tanto ci riprovo, ma difficilmente ne esco entusiasta, anche dove riconosco un lavoro ben fatto.

Prometheus è partito male fin dall’inizio. Il trailer poteva anche sembrare intrigante ma il fatto che Ridley Scott si fosse di nuovo messo a ravanare in tematiche spaziali equivaleva a mettere un manifesto grande come una casa con su scritto “non ho più idee”.

Oltretutto non penso di aver letto neanche una critica positiva a questo film ed è stato pochissimo nelle sale, motivi per cui alla fine me l’ero perso.

Recuperato in dvd – rigorosamente in offerta – continuo a chiedermi cosa possa spingere un regista affermato e che, diciamolo, non ha poi così bisogno di soldi, a cedere all’irrefrenabile impulso di sputtanarsi.

Prometheus è effettivamente una cagata bella e buona.

Sì, qualche idea carina ce l’ha, e qualche ammiccamento ad Alien, seppur vergognosamente facile, si coglie sempre volentieri. Però non ci sono elementi neanche lontanamente sufficienti a salvarlo.

Trama debole, piena di incongruenze. Personaggi che agiscono in modo pretestuoso solo per arrivare a creare situazioni che si annunciano lontano chilometri – i due tizi della prima spedizione che, di punto in bianco, decidono di andarsene senza una motivazione che sia realmente credibile e che, come se non bastasse, si perdono pure come se fossero turisti in gita parrocchiale rappresenta veramente uno dei primi picchi di idiozia.

A superare tale vetta arriva però prontamente la scena del cesareo di Noomi Rapace che, ovviamente, porta in grembo una creatura aliena e ha comprensibilmente fretta di sbarazzarsene.

L’astronave è dotata di una capsula medica totalmente automatizzata e programmata per eseguire qualsiasi tipo di intervento, e fin qui l’idea poteva essere anche carina, se non proprio originale. Noomi ovviamente la punta per il suo scopo, peccato che il tutto si svolga praticamente in corsa e non è una cosa detta così per dire. Con lei inseguita da chi vuole che la gravidanza continui che si fionda precipitosamente dentro la capsula, dove le operazioni di sterilizzazione, anestesia e tutto il repertorio hanno l’accuratezza di un autolavaggio e dove lei nel giro di pochi minuti si fa fare un taglio lungo tutta la pancia, si fa estrarre la creatura, ci lotta, scongiura un malfunzionamento della macchina, si fa ricucire con le graffette di una pinzatrice da tavolo, esce dalla capsula e, debitamente ricoperta di sangue e liquami alieni, si mette a correre in giro per l’astronave.

Ora, il sottotitolo della scena potrebbe anche essere “come buttare via il maggior numero di spunti possibili in un colpo solo”. Non che avesse le potenzialità del capolavoro in ogni caso, però un po’ meglio poteva giocarsela. Penso sia in assoluto la scena peggiore del film e una delle scene peggiori nella categoria. Con rammarico per la povera Noomi che mi sta anche simpatica.

Charlize Theron è la cattivissima di turno e non ne parlo male solo perché è gnocca. Michael Fassbender nei panni del robot regala l’unica interpretazione degna di nota del film, mentre Guy Pearce è ampiamente sprecato come tutto il resto.

Finale incasinato e arbitrario, che vanifica qualsiasi pretesa di suspense (e di logica) delle premesse iniziali.

Alieni già visti e rivisti, più che un omaggio – del quale in ogni caso non si sentiva il bisogno – una triste scimmiottatura.

Bocciato su tutta la linea.

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Noomi Rapace in Ridley Scott's Prometheus

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