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Archive for the ‘Pétronille’ Category

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L’ebbrezza non si improvvisa. Rientra nel campo dell’arte, che esige talento e cura.

Dalla porta alle nostre spalle, una ragazza con addosso la divisa del Circolo entra a passo svelto, facendosi largo tra le persone che ancora devono prendere posto. Regge in mano un secchiello con del ghiaccio. Dentro c’è una bottiglia di champagne, del quale non riesco a scorgere la marca.

Vuol dire che ormai ci siamo.

Dal pianoforte nell’angolo a destra si levano le note di Comptine d’un autre été, l’après-midi di Yann Tiersen – dalla colonna sonora de Il favoloso mondo di Amélie – e finalmente lei arriva.

Entra piano, quasi in punta di piedi. Un’espressione di allegra curiosità dipinta sul volto bianchissimo e incorniciato dal cappello a tesa larga – neanche tra i più eccentrici, in verità. Il colore predominante del suo abbigliamento è, come sempre, il nero.

Amélie Nothomb è minuta e una delle prime cose che penso, vedendola per la prima volta dal vivo, è che le numerose foto che la ritraggono, soprattutto quelle recenti, non le rendono giustizia. Non rendono quello strano carisma che emana da questa figuretta aggraziata, dai grandi occhi e dai modi vivaci.

A presentare l’incontro con lei c’è la sua editrice di Voland, Daniela di Sora, e la giornalista Farian Sabahi. Avrebbe dovuto esserci anche Lella Costa ma all’ultimo ha dovuto rinunciare per un problema di salute.

Mentre ancora le sue interlocutrici si stanno sistemando, Amélie si protende curiosa verso la bottiglia di champagne e la prima cosa che fa per cominciare è stapparla e servirsene un bicchiere.

Pétronille è il 23esimo romanzo pubblicato di Amélie, ma lei scrive moltissimo, è una macchina, per sua stessa ammissione.

Scrive di solito quattro romanzi all’anno e, verso fine anno, decide quale vedrà la luce e quali invece rimarranno nell’ombra, ad aumentare la sua collezione di manoscritti conservata in scatole da scarpe.

Il totale effettivo dei suoi romanzi ammonta a 84.

Ha iniziato a scrivere prestissimo ed è stato nelle parole di Rilke che ha trovato l’incoraggiamento per non sentirsi indegna di questa aspirazione.

Inizialmente, tuttavia, la scrittura per lei è un fatto essenzialmente privato. Non pensa alla pubblicazione. Quello che vuole, sopra ogni altra cosa, è essere giapponese. Ci prova, ma l’esperienza disastrosa, raccontata in Stupore e tremori (1999), dell’anno di lavoro per una grande multinazionale giapponese contribuisce a dare una svolta diversa alla sua vita.

Amélie dorme poco. Scrive abitualmente dalle 4 alle 8 del mattino. Ha provato tutte le sostanze e le tecniche possibili per trovare la sua routine di scrittura ideale e alla fine si è assestata su queste quattro ore di lavoro mattutino (quasi notturno, in effetti) e grandi quantità di tè nero del Kenya. Che in realtà non le piace neanche, ma è molto forte e la rende efficacemente produttiva.

Quando scrive, in genere, parte dal finale. Di solito ha ben chiaro dove vuole arrivare. E’ il come ci arriverà che è misterioso e si svela gradualmente.

La paura di non riuscire a scrivere è una costante, anche adesso che è affermata. L’ideale dell’artista che vive tra le nuvole e viene colto da improvvisi raptus creativi privi di sforzo o preparazione è un mito romantico e decadente di cui ci siamo nutriti per decenni ma che ha ben poco fondamento.

Per scrivere ci va disciplina. E ci va un enorme forza di volontà. Non è una questione di talento. E’ una questione di quello che si vuole e di quanto lo si vuole.

E la solitudine. Sua compagna costante per anni, soprattutto durante l’adolescenza.

I suoi manoscritti che non legge nessuno, da quando non vive più con la sorella. Lo sdoppiamento di personalità che richiede l’essere lettori di se stessi.

E le associazioni a Tim Burton – che pure le piace.

E il bisnonno – conosciuto da un anziano signore presente in sala – che ha scritto un romanzo di fantascienza su un missionario che vuole andare a diffondere il cattolicesimo su Marte.

Pétronille è la storia di Amélie Nothomb e della sua passione per lo champagne. Una passione che peraltro ricorre periodicamente e che già era stata affrontata – seppur in forme e modi differenti – in Causa di forza maggiore (2008).

Qui Amélie si sofferma sull’esigenza di condividere l’ebbrezza di questa afrodisiaca bevanda. Non si può bere da soli. Decide che ha bisogno di una compagna o compagno di bevute.

Inizia la sua ricerca e si imbatte in Pétronille, giovane scrittrice agli esordi, studiosa di Shakespeare, di aspetto androgino e di modi spicci e, quel che più conta, sincera amante dello champagne.

Prende vita così …quella strana forma d’amore così misteriosa e così pericolosa, la cui posta in gioco sfugge continuamente: l’amicizia.

Elementi biografici ed elementi creati a scopo narrativo.

Realtà, finzione e, soprattutto, mezze verità.

Pétronille Fanto non esiste ma il suo personaggio è modellato sulla scrittrice francese Stephanie Hocet.

Origini opposte (aristocratica una, proletaria comunista l’altra) ma percorsi analoghi di rifiuto del cammino prestabilito (carriera diplomatica per una e crescita come militante per l’altra) accomunano e separano le due donne in un gioco di specchi studiato per far perdere l’orientamento.

Amélie si diverte a giocare con il lettore. Lo prende per mano, lo convince a seguirla, fiducioso, e lo porta esattamente dove vuole lei, cioè dove lui non è più in grado di distinguere cosa è reale e cosa non lo è. Lo porta ad un finale dove mai si aspetterebbe di arrivare.

Una signora, in sala, le ha chiesto se sia consapevole dell’effetto spiazzante che ha sui suoi lettori. Amèlie ha amato smisuratamente la domanda perché quello dell’effetto sul pubblico è un altro di quegli argomenti che la ossessionano.

A seguito di un’altra domanda sulla somiglianza o meno del concetto di ‘compagno/a di bevute’ e ‘drinkin’buddy’ americano, Amèlie è stata più che pronta nel precisare che no, assolutamente non sono la stessa cosa. Anche solo per il fatto che gli americani non bevono champagne. E già questo di per sé la dice lunga.

E poi il compagno/a di bevute inteso da lei deve avere tre requisiti fondamentali:

1) deve saper bere – se dopo due bicchieri si ferma non ha senso.

2) deve avere la sbronza allegra – non si sta a bere insieme per piangere.

3) deve essere affidabile – quando si beve si diventa loquaci e si finisce sempre per rivelare qualcosa di personale. Preferirebbe di gran lunga non ritrovare le sue confidenze su qualche giornale scandalistico il giorno seguente la bevuta.

Di sicuro c’è che, dopo la pubblicazione di Pétronille, le candidature per questo ruolo sono decisamente aumentate.

Dopo la presentazione è seguita la consueta firma delle copie e, anche in questo, Amélie si è dimostrata adorabile. Gentile, disponibile a scambiare due parole – anche in italiano (non lo parla molto ma lo capisce piuttosto bene) – e a scattare foto insieme.

L’esercizio della firma delle copie verte su una fondamentale ambiguità: nessuno sa quello che vuole l’altro. Quanti giornalisti mi hanno rivolto questa domanda: “Cosa si aspetta da questo genere d’incontri?” A mio avviso, l’interrogativo è anche più pertinente per la parte avversa. Al di là dei rari feticisti per i quali la firma dell’autore conta davvero, cosa vengono a cercare gli amanti degli autografi? Quanto a me, provo una profonda curiosità nei confronti di chi viene a trovarmi. Cerco di capire chi sono e cosa vogliono. Questo aspetto non finirà mai di affascinarmi.

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