Mpf.
Non lo so.
Personalmente non mi è dispiaciuto, questo Regression, ma mi rendo conto che di pecche ce ne sono e neanche troppo piccole.
Regia di Alejandro Amenàbar, altresì noto come IlregistadiTheOthers. Il che non so se in questo caso gli torna molto utile. Perché tutti quelli che hanno amato The Others si aspettavano il bis.
E visto che il bis non è arrivato, i paragoni e i giudizi sono forse anche più severi, come capita di solito a chi riesca a fare qualcosa di particolarmente riuscito. Da quel momento in poi gli standard si alzano e tutti si aspettano di più. Indietro non si torna. Manco a farlo apposta, sembra un gioco di parole con il titolo del film.
Bruce Kenner è un detective alle prese con un presunto caso di molestie subite da una minorenne da parte di suo padre.
Siamo negli anni Novanta e negli Stati Uniti siamo in pieno boom da satanismo. Sono saltate fuori le sette sataniche e pare che la cronaca non parli d’altro. Pare che, ovunque ci sia qualcosa che non va, si celino satanisti. E’ quasi una psicosi collettiva.
Kenner indaga. La ragazzina è traumatizzata e parla poco. Il padre è messo ancora peggio. Non ricorda. Viene chiamato uno psicologo ad affiancare le indagini ed è lui che introduce la tecnica – anch’essa molto in voga negli anni Novanta – della regressione per tentare di sbloccare ricordi cui non si ha più accesso. E da questi ricordi emergono dettagli profondamente inquietanti.
In breve.
Buona l’idea di ribaltare, per così dire, l’approccio standard alla tematica paranormale (forse è una frase non proprio chiarissima per chi non lo ha ancora visto, ma ha un suo senso).
Buona la scelta di tenere il tutto in equilibrio fino all’ultimo tra horror e thirller investigativo.
E buona la scelta di Etan Hawke – che dopo ventisei anni riesco quasi (quasi eh) a non pensare in versione Todd Anderson – che è pacato ed espressivo.
Tra i difetti invece spicca di sicuro la scelta di Emma Watson. Mettiamoci l’anima in pace, non sa recitare. Ha due espressioni e le usa fuori luogo. Fa la bocca a culo di gallina e non sta ferma un attimo con le sopracciglia (un po’ come Kirsten Dunst ma peggio) – mettiamole del nastro adesivo, please, così la smette di alzarle e abbassarle.
Atra osservazione è che poteva essere un po’ più corto, o almeno più concentrato. Ad un certo punto hai tutto di fronte eppure sai che non può essere tutto lì. Resta solo da capire qual è il tassello che farà saltare per aria tutti i presupposti. E però questo tassello tarda a palesarsi. Non tanto da sciupare del tutto il ritmo del film ma abbastanza da farsi notare.
Nel complesso l’idea aveva più potenzialità rispetto a come è stata sfruttata, però non è neanche da bocciare del tutto.
La faccenda della regressione con le sue implicazioni è interessante. Soprattutto se si pensa che si fa riferimento a fatti di cronaca.