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Archive for 4 dicembre 2012

la-locandina-di-cloverfield-45550

Mi metto finalmente a scrivere mentre mi parte in loop per l’ennesima volta Come of Age dei Vaccines per il quale sono andata improvvisamente in fissa manco avessi quindici anni, e intanto rifletto sul fatto che, ecco, se proprio deve arrivare la catastrofe, please, non mentre sono ad una festa, tutta in tiro, e ci ho su un tacco dodici. Che per carità, voglio tanto bene alle mie (bellissime e affettuosissime) scarpe supertaccate e suppongo che indossarle nel pieno di un’emergenza denoti gran classe, ma se devo scappare per tutta la sera in mezzo alle macerie decisamente voglio le mie vecchie Converse.

Cloverfield (2008) è un film tendenzialmente sottovalutato.

E’ impostato come video amatoriale ritrovato tra le rovine di un disastro (in un posto una volta noto come Central Park) e ormai di proprietà del governo degli Stati Uniti. E fin qui, di per sè, niente di nuovo. Ma il punto è anche questo.

Cloverfield non ha la pretesa di dire qualcosa di nuovo sul genere attacco-a-Manhattan, all’interno del quale fondamentalmente si colloca. E’, allo stesso tempo, un tributo ad un certo tipo di film che vanno da King Kong a Godzilla e il punto d’arrivo dell’evoluzione di un genere dopo l’esperienza, ormai acquisita e consolidata, di esperimenti come Blair Witch Project, con un consistente richiamo al filone teen-horror e un pizzico di sindrome post undici settembre (la scena della gente per strada che avanza incredula coperta dalla polvere bianca che si alza dalle macerie è, di fatto, definitivamente entrata nell’iconografia cinematografica) per completare il tutto.

La telecamera a mano. Nella prima parte balla effettivamente parecchio, con le riprese dei messaggi di auguri per il festeggiato prossimo a partire per il Giappone alternati agli spezzoni delle riprese precedentemente registrate su quel nastro e maldestramente cancellate dagli amici. Spezzoni confusi, improvvisi cambi di inquadrature, ondeggiamenti. Ma è anche la parte di massima plausibilità della ripresa amatoriale. Nel senso che non c’è un solo momento della festa nel lussuoso appartamento di Manhattan dove risulti quanto meno insolito il fatto che qualcuno stia facendo delle riprese. Anche quando comincia il casino, in realtà, le riprese ci stanno, se si pensa che in effetti, per qualunque cosa più o meno insolita che succede c’è almeno una decina di persone che riprendono con i telefonini e mettono su YouTube. E la testa della statua della libertà staccata e lanciata in mezzo alla strada probabilmente l’avrei fotografata anch’io.

Tuttavia, man mano che la situazione precipita e si fa più concitata, la telecamera comincia da un lato ad essere fin troppo stabilizzata – che per carità, dal punto di vista dello spettatore è indubbiamente meglio e rende più facile concentrarsi su quello che sta succedendo piuttosto che cercare di capire cosa si sta vedendo – e, d’altro canto, l’eventualità che il ragazzo che vi sta dietro possa pensare davvero di riprendere risulta sempre meno plausibile. Certo, è esattamente il genere di concessione che si deve fare se si accetta di vedere un film impostato come filmato amatoriale, però, non so, se mi ammazzassero un amico davanti agli occhi non credo che riuscirei a riprendere tranquillamente la faccia di suo fratello per documentarne la reazione. E’ anche vero che non sono nata in America e gli americani il senso dello spettacolo ce l’hanno nel DNA.

In ogni caso, il ritmo è ottimo, i colpi di scena e i vari step dell’aggravarsi della situazione sono ben distribuiti perchè ti viene dato il giusto tempo di assimilarne uno prima che arrivi il successivo. Il mostro è davvero ben fatto e riassume nelle sue sembianze tutte le possibilità – creatura preistorica, aliena, frutto di esperimenti – sulla sua origine. L’intervento dei militari nella scena in cui si rendono conto che Marlena è stata morsa, inoltre, strizza l’occhio a tutti i vari film da pandemia indotta.

Morale, mi è piaciuto molto. E sicuramente ha il pregio di sfruttare bene lo spunto di partenza senza lasciare quel retrogusto di occasione persa che spesso si portano dietro i film di questo tipo. Carino anche l’inserimento di un fotogramma di King Kong nell’inquadratura fissa dopo l’abbattimento dell’elicottero, in una sorta di ulteriore piccolo omaggio all’illustre predecessore di chiunque voglia arrogarsi il diritto di passeggiare, enorme e minaccioso, tra i grattacieli di Manhattan.

E poi ha ispirato questa…

Cinematografo & Imdb.

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