Bianco e nero, colonna sonora jazz, la lieve patina di quella decadenza troppo snob, troppo alto-borghese per definirsi apertamente tale.
Oh boy sarebbe un perfetto film francese se non fosse tedesco. Non che la provenienza germanica sia un difetto, non fraintendiamo, solo che è strano perché davvero, urla Nouvelle Vague da ogni singolo fotogramma.
La giornata di Niko Fischer, ventenne, presunto universitario, che si trascina attraverso la sua esistenza e attraverso le strade di Berlino alla ricerca di un caffè che, per un motivo o per l’altro, sembra non riuscire a prendere – e che costituisce il filo rosso lungo il quale la non-storia si dipana.
Tra conoscenze più o meno casuali e impegni che non prende mai per primo, Niko si aggira in un limbo di inazione, galleggia sospeso nei suoi pensieri e nella sua fondamentale incapacità di agire veramente se non in senso negativo, incarnazione di una generazione anch’essa sospesa, che forse ha avuto troppo e per questo non ha mai realmente voluto qualcosa.
Una generazione che non sa scegliere e che l’unica cosa che intuisce è di non volere la responsabilità di scelte che non ha fatto in prima persona.
Tom Schilling è particolarmente adatto al ruolo e, soprattutto, è veramente bravo, con la sua espressione non-espressiva, il suo volto che lascia trasparire appena una lieve reazione in risposta a quello che gli succede intorno, come se tutto fosse molto distante e a lui arrivassero solo echi lontani. Le sue espressioni sono esse stesse echi lontani, fantasmi con vaghe sembianze di espressioni vere; sentimenti che affiorano appena, come se avessero perso tutta la loro potenza durante un tragitto troppo lungo.
Esteticamente impeccabile – è pur vero che il bianco e nero renderebbe bellissima anche la peggior periferia – ritratto di una Berlino in bilico tra passato e presente, luminosa e ferita, viva ma incapace di voltare davvero pagina.
Bellissima la scena del pub e la figura del vecchio, fantasma anch’egli, come il passato da cui proviene e che emerge dalle sue parole senza essere mai davvero nominato.
Attorno a Niko prende vita una galleria di figure improbabili e paradossali, a volte tristi ma sempre alleggerite dalla discreta ironia di fondo che pervade tutto il film e che lo tiene in delicato equilibrio.
Da vedere.