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Archive for the ‘F. De Gregori’ Category

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Scorci dalla presentazione di Amore e Furto – De Gregori canta Bob Dylan, martedì 3 novembre qui a Torino alla Feltrinelli di Porta Nuova.

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Chiacchierata con Massimo Cotto, tre brani dal vivo, firma copie.

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Nell’album è presente una nuova rielaborazione della traduzione di Desolation Row, firmata da De Gregori e De André e incisa da De Andrè nel 1974 nell’album Canzoni.

La versione del ’74 presentava molte più libertà e modifiche rispetto all’originale mentre questa qui è decisamente più fedele.

Bellissimo incontro e bellissimo album.

Mi ero completamente persa che ci sarebbe stato Massimo Cotto, altrimenti mi sarei portata anche Rock Bazar da autografare.

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In questi giorni  – come si sarà vagamente intuito – sono stata fagocitata dal festival e quindi non sono ancora riuscita a parlarne ma lunedì scorso De Gregori è venuto a Torino (Feltrinelli di Porta Nuova) a presentare questa bella cosa qui.

De-Gregori-Francesco-ViA chiacchierare con lui c’era Massimo Gramellini ed è stato un gran bell’incontro, con tanto di firme e foto alla fine.

Che poi io adesso lo dico così ma, onestamente, faccio ancora fatica a realizzare di essermi effettivamente seduta di fianco a lui, di avergli stretto la mano etc., etc. Credo anche di aver risposto a qualcosa che mi ha detto e sono ragionevolmente certa di non essermi fatta figure di merda, il che, nel mio caso, è decisamente qualcosa. [Per dare l’idea, son quei momenti in cui mi parte in loop la quote di Warm Bodies – il film – quando lui – zombie – tenta l’approccio con lei – viva – e si ripete in testa Play it cool! Say something intelligent! E ovviamente gli esce solo un grugnito. Ecco.]

DeG

 

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4 aprile 2013

Teatro Colosseo, Torino

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I bellissimi arrangiamenti de Il panorama di Betlemme con aggiunta del violino e di Pezzi in versione lenta.

Il guanto  e Santa Lucia in setlist, che sono tra le mie preferite.

I brani più vecchi, che ho imparato a memoria da bambina.

Gli auguri per il suo compleanno.

Il ricordo di Lucio Dalla.

La cover di I Can’t Help Falling In Love With You di Elvis.

La pelle d’oca per Guarda che non sono io.

Lui sul bordo del palco che saluta il pubblico.

Concerto fantastico dall’inizio alla fine.

La musica dal vivo è il bene.

E poi fatemi andare sul classico

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Nevica, nevica e ancora nevica e, nonostante non si possa dire ad alta voce perché poi cominciano a piovere cazziatoni e accuse di irresponsabilità da tutte le parti – manco uno dicesse che gli piace rovesciare detersivo in mare nelle ore libere – la cosa mi mette estremamente di buonumore.

E poi, anche se normalmente qui sopra evito argomenti politico-religiosi, il mio buonumore non può che essere ulteriormente rafforzato dalla notizia delle dimissioni di questo losco individuo.

Per carità, sono perfettamente conscia che su questo fronte c’è poco da stare allegri comunque – non ho la benché minima fiducia che possa cambiare qualcosa nelle posizioni del Vaticano, se non eventualmente in peggio – ma sull’onda dell’entusiasmo – e al grido di “destabilizzazione” –  ho passato ben dieci minuti ad immaginarmi di aprire il giornale la mattina e cominciare a trovare notizie tipo l’approvazione della legge sui matrimoni e le adozioni per le coppie gay, e su tutta un’altra serie di questioncelle riguardanti i diritti civili, che si sa, son cose per chi non ci ha un cazzo da fare perchè le persone serie pensano a ben altro. Già.

Per la serie, immagino (appunto). Posso. Lo diceva pure George Clooney.

Almeno ancora per un paio di settimane scarse, poi si vedrà.

Non paga di tutta questa positività – e nemmeno un po’ della lunghezza di questa premessa rigorosamente fuori tema – ci mettiamo pure che sono riuscita a prendere i biglietti per l’ennesimo concerto.

Nel caso specifico si tratta di De Gregori al Teatro Colosseo qui a Torino il 4 aprile.

Penso sia ormai ufficiale. Da grande collezionerò concerti.

Il film.

Sono andata a vedere Les Miserables più per curiosità che non perché avessi effettivamente grandi aspettative. Non sono prevenuta nei confronti dei musical – mi piacciono abbastanza anche quando le musiche non sono esattamente del mio genere – ma l’ambientazione storica tendenzialmente non mi appassiona più di tanto.

In tutto questo ragionamento ho però trascurato un elemento essenziale. L’Ottocento.

Sono fatalmente affascinata da tutto quello che connota i romanzi ottocenteschi, non a caso tra i miei libri preferiti figurano i Buddenbrook (1901) e Cime Tempestose (1847). Non so neanch’io bene perchè, dal momento che normalmente non ho una sensibilità particolarmente incline ai romanticismi, ma sta di fatto che il classico polpettone romantico e melodrammatico, gravato di tutta la cupa pesantezza ottocentesca lo divoro che è una meraviglia.

Mi trovo quindi a stupirmi del perché io non abbia mai letto I Miserabili (1862) di Victor Hugo e mi ritrovi adesso nella ben poco lusinghiera condizione di volerlo leggere dopo aver visto il film. Penso che a questo punto aspetterò, così, tanto per non massacrare troppo la mia dignità. No, a parte le cazzate, non so perché non l’ho mai letto. Forse perchè è uno di quei testi che si danno per scontati perché le vicende sono bene o male note a tutti. Forse pigrizia. Morale, dovrò in qualche modo porvi rimedio.

Il film di Hooper (Il discorso del re) non è una trasposizione diretta del romanzo ma passa per la versione intermedia dell’opera teatrale di Claude-Michel Schonberg e Alain Boubil (1980 Parigi e 1985 in versione inglese per Broadway) il che lo rende più vicino ad un’opera vera e propria che non ad un musical tradizionale.

Al di là delle canzoni, non ci sono quasi dialoghi parlati ma sono tutti cantati. Motivo per cui, tra l’altro, avrebbero potuto tranquillamente risparmiarsi il doppiaggio di quelle sei o sette battute parlate e limitarsi a sottotitolarle mantenendo l’originale.

Anche la scenografia richiama visivamente tantissimo l’impostazione teatrale – bellissime le scene della barricata e gli innumerevoli riferimenti iconografici, primo fra tutti quello a La Libertà che guida il popolo di Delacroix, 1830 – che pare abbia proprio ispirato il corrispondente capitolo del testo di Hugo.

Gli interpreti. Bravi, bravi, bravi che di più non si può.

Anne Hathaway interpreta Fantine ed è presente per una parte molto breve ma lascia assolutamente senza fiato – ho veramente dovuto fare appello a tutto il mio autocontrollo per non cominciare miseramente a piangere dopo il primo quarto d’ora di film, ben conscia che in tal caso sarei arrivata alla fine ridotta ad un cencio da strizzare.

La sua I dreamed a dream è interpretata in modo perfetto sotto tutti i punti di vista e lei ha davvero una gran voce.

Hugh Jackman, Jean Valjean, si conferma un ottimo attore e l’interpretazione è impeccabile anche se ha una voce sicuramente non brutta ma neanche particolarmente notevole.

Russel Crowe è veramente molto adatto al ruolo di Javert e rende il personaggio estremamente interessante. Non mi piace per nulla la sua voce ma suppongo sia un problema mio e non un difetto suo.

Amanda Seyfried, Cosette. Mi è sempre piaciuta moltissimo ma non avevo idea (non ho mai visto Mamma Mia) che cantasse così bene e che avesse una così bella voce. Come timbro continuo a preferire la Hathaway, ma è veramente notevole.

Fantastica anche la piccola Isabelle Allen nei panni di Colette da bambina. Anche se io ho creduto fino alla fine del film che fosse la sorella minore di Dakota Fanning, tanta è la somiglianza.

Ci sono anche Helena Bonham Carter e Sacha Baron Cohen che interpretano i coniugi Thénardier.

Se tutto il film è caratterizzato da un’estrema fedeltà al testo di base (pur con il tramite della trasposizione teatrale), i personaggi dei due locandieri sono forse quelli che più si discostano dai loro modelli letterari, risultando in verità fin troppo macchiettistici e un po’ fuori luogo. In particolare la Bonham Carter, per quanto brava e per quanto a me piaccia sempre molto, risulta un miscuglio di tutte le precedenti versioni di se stessa tra Sweeney Todd (la scena del pasticcio di carne) e Alice in Wonderland (il trucco della scena finale in cui piombano a casa di Marius sembra quello della Regina di Cuori).

In conclusione. Bello. Molto contenta di non essermelo perso.

Grandioso e imponente. Ricco di pathos ed emozioni struggenti come l’Ottocento giustamente richiede.

Cinematografo & Imdb.

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