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Archive for the ‘Hogarth Press’ Category

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Stanotte ho visto una cosa stranissima.

Stavo tornando a casa, in una notte calda e opprimente, come ce ne sono qui, in questo periodo dell’anno, quando la pelle è lustra di sudore e la camicia non si asciuga mai. Avevo suonato il piano nel bar dove lavoro, e nessuno aveva voglia di andarsene, così avevo fatto più tardi di quanto volessi. Mio figlio aveva detto che sarebbe venuto a prendermi in macchina, ma non si era fatto vedere.

Stavo tornando a casa, verso le due di notte, con una bottiglia di birra fredda che mi si riscaldava in mano. Non bisognerebbe bere per strada, lo so, ma che diavolo! dopo aver lavorato nove ore di fila servendo al bar quand’era tranquillo e suonando il piano quand’era affollato… La gente beve di più se c’è la musica dal vivo, è un fatto indiscutibile.

Stavo tornando a casa quando il cielo si è squarciato e la pioggia è venuta giù come ghiaccio, in realtà era ghiaccio: chicchi di grandine grossi come palline da golf e duri come palle di elastico.

Jeanette Winterson per me è sempre amore incondizionato.

Lo spazio del tempo è una riscrittura del Racconto d’inverno di Shakespeare, nell’ambito di un progetto della Hogarth Press (la casa editrice fondata nel 1917 da Virginia e Leonard Woolf) di riscritture shakespeariane ad opera di autori contemporanei. Al momento lei è la prima della serie, che in Italia è pubblicata da Rizzoli.

Trasfigurazione della storia che cambia rimanendo la stessa.

Ogni cosa porta per sempre in sé l’impronta di ciò che è stato prima.

E’ una frase che ricorre. C’era anche ne Gli dei di pietra. Ed è così inequivocabilmente perfetta. Racchiude tutto.

Una storia che rimane intatta attraverso i secoli. Che muta di forma e di aspetto ma che viaggia nel tempo mantenendo intatta la sua sostanza.

Fiabe. Leggende. Varianti. Versioni. Fanfiction.

Parole e vicende che sconfiggono il tempo.

Si fanno beffe della sua presunta irreversibilità.

Forse, in qualche modo, il tempo é reversibile.

Forse esiste un modo di porre rimedio al tempo e alla sua solida e statuaria inamovibilità.

Che cos’è la memoria se non una dolorosa disputa con il passato?

Jeanette prende il testo di Shakespeare, se ne appropria con tutto l’amore di chi nutre una reale passione e lo restituisce alla nostra epoca pressoché intatto nella sua plausibilità.

Lo restituisce in vesti delicate e struggenti. In immagini di una bellezza lancinante. In parole e sentimenti di una purezza primordiale.

La forma atomica del tuo amore.

Lo spazio del tempo è una riscrittura ma non solo. E’ un omaggio umile e garbato. E’ una dichiarazione d’amore per il testo originale e per tutte le parole scritte di questo mondo. E’ una promessa di devozione assoluta alla narrazione.

Le cose importanti capitano per caso.

Lo spazio del tempo è un intreccio di legami che si annodano indissolubilmente sempre più in profondità. C’è Shakespeare ma c’è anche tanta Winterson nei continui richiami alle sue tematiche. Impronte che vengono messe a nudo e legami viscerali che vengono svelati. Corrispondenze e risonanze.

E a noi non è dato di conoscere le vite degli altri, e non è dato di conoscere nemmeno la nostra, al di là dei dettagli che sappiamo tenere sotto controllo.

E Perdita. Che rappresenta una sorta di convergenza nello spazio e nel tempo.

Perché è la perdita la misura dell’amore? era l’incipit di Scritto sul corpo. Qui non viene ripetuta esplicitamente questa domanda – anche perché, curiosamente, il gioco di parole funziona meglio in italiano – ma ne è reso ugualmente esplicito il significato. Perché Perdita è la misura dell’amore. Ne è il catalizzatore, il riferimento, la catarsi.

E le cose che ci cambiano per sempre avvengono senza che noi ce ne rendiamo conto [—]. Ci vuole così poco tempo per cambiare una vita e ci vuole tutta la vita per comprendere il cambiamento.

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