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Archive for the ‘R. Andersson’ Category

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Mentirei se dicessi che questo Piccione non mi ha lasciata un po’ perplessa. Forse me lo aspettavo diverso. O forse non lo so neanche io cosa mi aspettavo. Sta di fatto che sono uscita dal cinema incuriosita ma senza sapere bene cosa pensare. Istintivamente non mi è dispiaciuto ma mi ha un po’ lasciato quell’indefinibile sensazione da “qualcosa mi sta sfuggendo. E probabilmente quel qualcosa è sotto il mio naso e non lo vedo.”

Però devo anche dire che più passano i giorni, più i ricordi del film sedimentano e più a prevalere è un sorriso. Quel sorriso vago, distratto e un po’ svampito che si stampa sul volto quando si coglie, a distanza di tempo e in modo del tutto casuale, una sfumatura che ci era sfuggita, un’implicazione che si riesce a vedere solo a distanza.

Ecco, secondo me, il riflessivo volatile di Roy Andersson ha bisogno di una certa distanza per essere apprezzato. Per entrarci in sintonia.

Il film è il terzo capitolo di una trilogia, essere un essere umano, della quale però non ho visto gli altri due film, perciò non sono in grado di esprimere un’opinione da questo punto di vista.

Sam e Jonathan sono tristi, grigi, assolutamente privi di slancio vitale. Sono due improbabili venditori di scherzi di carnevale, e sono anche il filo rosso che unisce e attraversa tutte le differenti situazioni che compongono il film.

L’impostazione e la struttura sono marcatamente teatrali e il richiamo al teatro dell’assurdo è particolarmente esplicito, sia nella connotazione stessa di Sam e Jonathan – che sembrano una versione forse appena un po’ meno sconsolata dei due protagonisti di Aspettando Godot – sia nella mancanza di una costruzione narrativa lineare/tradizionale.

Un susseguirsi di sketch, alcuni singoli, altri ricorrenti, connotati da elementi che si incrociano e che si ritrovano di volta in volta in posti e momenti diversi. L’inquadratura è fissa, la prospettiva non cambia.

Personaggi surreali prendono vita sullo sfondo di episodi ora tristi, ora divertenti (la scena della discussione sui giorni della settimana è innegabilmente geniale), ora grotteschi (la morte dell’uomo al self service), in quella che diventa una galleria di umane miserie e gioie quotidiane.

E c’è la Storia. Rappresentata in modo estremamente simbolico e buttata in mezzo al presente in modo violento e stonato con riferimenti ora molto espliciti – come quello, terribile, ai lager – ora un po’ più ostici da decifrare.

Leone d’Oro a Venezia 2014, il Piccione, dal suo ramo, è sicuramente un film che inizialmente disorienta ma rimane impresso. E’ estremamente intenso. Non piacerà di sicuro a chi si aspetta sensazioni immediate ma potrà rivelarsi una bella sorpresa per chi saprà apprezzare il retrogusto agrodolce, ironico e commovente che lascia dietro di sé.

Ah, e grazie a Mo Willems per il titolo del post.

Cinematografo & Imdb.

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