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PoltergeistLoc

Il termine poltergeist deriva dal tedesco e significa spirito rumoroso (geist significa spirito, poltern bussare). Esso si manifesterebbe sostanzialmente con il presunto movimento improvviso di oggetti: quadri che cadono, mobili che si spostano, elettrodomestici che si accendono e si spengono, pietre e sassi che volano con traiettorie insolite. Gli episodi di poltergeist, secondo i sostenitori di tale teoria, tendono inoltre ad essere accompagnati da altre manifestazioni soprannaturali come l’autocombustione, levitazione di persone, comparsa di pozze d’acqua e di scritte sui muri fino alla produzione di voci.

In genere i racconti e le testimonianze sui poltergeist sono accomunati da tre caratteristiche costanti:

  • Gli oggetti in movimento colpiscono raramente le persone presenti o danneggiano gravemente la casa.
  • Le manifestazioni durerebbero alcune settimane o alcuni mesi al massimo.
  • Si verificherebbe quasi sempre in presenza di una particolare persona, detta persona focale, che, nella maggior parte dei casi, sarebbe in età adolescenziale.

Tali caratteristiche consentono di effettuare una distinzione netta tra casi di poltergeist e casi di infestazione.

Le cose che si dimenticano. E quando te le ricordi rimetti a posto i pezzi e diventano chiare le origini di un sacco di cose.

Erano secoli che non riguardavo Poltergeist e mi ero dimenticata di quanto fosse un punto di riferimento nel suo genere. Al di là del fatto che è rimasto famoso per la bambina davanti allo schermo senza segnale, non ricordavo quanti fossero i dettagli e gli elementi che sono poi diventati canonici per tutto un filone.

Ora. Il tema della casa infestata è vecchissimo ma la spiegazione tradizionale dell’infestazione in genere sono i fantasmi. Qualcuno morto male che non si da pace o semplicemente che non ha capito bene cosa deve fare e rimane attaccato in qualche modo al mondo reale cercando di comunicare o di vendicarsi, a seconda, in modi prevalentemente incomprensibili.

Con i poltergeist è come se il filone si biforcasse in due sottocategorie simili sotto moltissimi aspetti ma con differenze sostanziali che vanno poi a modificare le possibilità di esito e di gestione.

Stavo spulciando un po’ tra i vecchi film e, onestamente, non mi sentirei di metter la mano sul fuoco a dire che Hooper e Spielberg sono stati i primi a mettere un poltergeist su grande schermo, ma sicuramente con il loro film hanno impostato la cifra stilistica di riferimento per tutte le infestazioni da demoni del trentennio successivo.

Nel Poltergeist del 1982, diretto da Hooper su un soggetto ideato da Spielberg, c’è tutto quello che abbiamo visto e continuiamo a vedere in ogni casa corredata di presenza sovrannaturale che si rispetti.

Il poltergeist muove gli oggetti, e qui abbiamo la scena delle sedie della cucina che dà il la a tutte le future scene di oggetti che si muovono da soli. Inquadratura sulla cucina a posto. Telecamera che segue la protagonista in quello che fa e si sposta dalla zona appena inquadrata. Protagonista che ritorna sui suoi passi e trova le sedie disposte a piramide sopra il tavolo. Non si vede niente di spaventoso in sé ma l’effetto è così prepotentemente sbagliato che la potenza terrorizzante dell’inquadratura e totale.

Ormai questo è un giochetto che riciclano bene o male in qualsiasi film che tocchi l’argomento – tanto per dirne una, continuavo a pensare alla scena, una delle poche valide in verità, di Paranormal Activity 3, sempre in cucina, con mobili e utensili che piombano giù dal soffitto.

E poi il cane che reagisce a qualcosa che vede solo lui.

La famiglia che si trova, bene o male, isolata ad affrontare qualcosa che non si sa bene come spiegare all’esterno.

Il ricorso all’intervento di medium e investigatori del paranormale che si trovano coinvolti in qualcosa che va ben oltre le loro aspettative.

Le allucinazioni – il che consente anche di inserire un piccolo angolino splatter nella scena della faccia che si disfa.

Persone trascinate qua e la da forze invisibili – la scena della mamma che viene prima immobilizzata poi spinta su pareti e soffitto sarà pure banale da un punto di vista tecnico ma rimane fatta benissimo ed estremamente efficace.

E i bambini come canale privilegiato per l’amplificazione dei fenomeni che si manifestano prima gradualmente per poi intensificarsi.

Per certi versi questo film può forse risultare un po’ datato, soprattutto per quel che riguarda la resa delle scene più concitate – le sequenze in cui le potenze si scatenano in una sorta di bufera risultano adesso un po’ troppo lunghe perché se ne nota subito l’ingenuità tecnica; resta però il fatto che, per la qualità e la quantità di elementi messi in gioco, Poltergeist rappresenta una sorta di capostipite. E rimane tuttora un gran film horror, che ti spaventa anche se l’hai già visto e sai cosa sta per succedere.

Gli effetti speciali in generale erano comunque di buon livello, considerati gli anni. Gli oggetti volanti e i turbini non sono forse integrati benissimo nell’immagine ma di certo gli effetti ottenuti con fumo ed elettricità rendono bene. La scena dell’albero è forse un po’ troppo meccanica ma si salva perché è notturna e si svolge sotto un diluvio torrenziale, che aiuta sempre a mascherare le magagne.

Ancora. Come tutti gli horror reduci dagli anni Settanta, non si fa mancare anche una sottotraccia di più o meno velata polemica di stampo socio-culturale. Nel caso specifico, i riferimenti sono agli eccessi di un boom edilizio incontrollato e alla crescita esponenziale del fenomeno dell’inquinamento catodico che cominciava a verificarsi in quegli anni.

Heather O’Rourke, la celebre bimba che parla allo schermo dal segnale assente, è coerentemente inquietante. La sua carriera cinematografica però non va oltre Poltergeist 2, del 1986, e Poltergeist 3, uscito nel 1988, anno della morte della povera Heather a soli dodici anni per complicazioni legate al morbo di Crohn. Non è chiaro se per il finale del terzo film della serie sia stata utilizzata una controfigura. Teoricamente le riprese avrebbero già dovuto essere concluse nell’87, quando ancora Heather poteva lavorare.

Cinematografo & Imdb.

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Sequel del Tron del 1982, si potrebbe dire che Tron Legacy (2010) non è esattamente quel tipo di film di cui si sentiva la necessità.

E non perché sia fatto male, no, anzi. Semplicemente, il primo aveva senso in relazione all’epoca nella quale era stato pensato, mentre il secondo si ritrova ad averne solo in quanto feticcio commemorativo del suo più illustre predecessore.

In parole povere. Difficilmente a qualcuno piacerà davvero il secondo se non ha visto il primo. E non è neanche un problema di comprensibilità della trama. Sì, ci sono i riferimenti alle vicende dell’82 ma non c’è un intreccio di complessità tale da risultare dipendente dall’altro. E’ proprio un discorso temporale.

Mi rendo conto che io stessa l’ho guardato con il costante riferimento del primo in mente.

E’ proprio un discorso che va a toccare l’idea di fondo. Alla base c’è tutta una concezione mitizzante/mitizzata della tecnologia che era tipica degli anni Ottanta e che ora risulta totalmente anacronistica.

E’ lo stesso principio del Tagliaerbe. Lo guardi ancora adesso ed è un bel film ma devi accettare che il presupposto su cui basa ha perso qualsiasi possibile plausibilità.

Nei due Tron, la visione di questa dimensione fisica dell’interno del sistema, con la personificazione di Programmi e Creativi, ha dietro di sé il presupposto dell’aspettativa di infinite potenzialità dello sviluppo tecnologico. Potenzialità che ormai sono state o realizzate o drasticamente ridimensionate e sulle quali sarebbe difficile, ora, basare la teorizzazione, seppur narrativa, di qualche sviluppo così radicalmente fantascientifico. Tant’è che se il primo aveva potuto evitare di porsi questo genere di problema, in questo secondo capitolo c’è bisogno del riferimento a Matrix per riuscire a supportarne la solidità.

E’ tuttavia apprezzabile che, anche quello che non è esattamente spiegabile o plausibile, magari in relazione a vecchie dinamiche, non viene approfondito particolarmente ma ci si limita a discreti accenni che ti dicono, sì, ok, le premesse sono queste, non è che ci devi credere, basta solo che le prendi per buone un momento. Insomma, non ha la pretesa di stravolgere l’idea per attualizzarla e questo, come dicevo, è sicuramente un aspetto positivo. La lascia intatta e la usa per quello che è, un’idea degli anni Ottanta.

Detto ciò, è comunque un film divertente. Il ritmo è buono, gli attori validi, con Jeff Bridges e Garret Hedlund nei panni di padre e figlio e Olivia Wilde nel ruolo di Quorra. Visivamente poi è uno spettacolo, con questi paesaggi molto cupi sui quali si muovono i mezzi luminosi e  i programmi e i creativi con le tute dalle linee fluorescenti. Oltretutto è bello anche il fatto che la struttura visiva del mondo in cui si svolge il tutto non sia stata stravolta rispetto all’originale ma semplicemente resa in modo più evoluto. Sicuramente molto adatto al 3D.

Anche la colonna sonora dei Daft Punk merita decisamente. Al di là del fatto che mi aspettavo di sentir partire Follow Me da un momento all’altro, è un gran bel tuffo negli anni Ottanta.

Insomma, non sarà questo film indimenticabile e magari sarà poco più di un omaggio all’originale, ma è comunque un omaggio ben riuscito e ti fa venire abbastanza nostalgia da aver voglia di rivedere il primo.

Cinematografo & Imdb.

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