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Archive for the ‘D. Ferrario’ Category

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Prima considerazione. Se non ci fosse stata Torino nel titolo probabilmente non mi sarei neanche accorta di questo film. E, anche nel caso, non sarei sicuramente andata a vederlo.

Seconda considerazione. Vorrei sapere chi è quel giornalista che ha scritto (la frase è riportata nel trailer) che “Ferrario è per Torino quel che Woody Allen è per Manhattan” o qualcosa di simile. Ecco. Vorrei sapere chi è e dirgli due parole. Giuro che non gli faccio niente. Solo qualche domanda.

Il film.

Bocciato, bocciato e ancora bocciato. Mi pareva brutto non andare a vedere un film tutto girato nella mia città, ma la prossima volta che mi viene in mente di andare a vedere un film italiano solo sull’onda emotiva e senza un minimo di garanzia di tollerabilità spero sinceramente che qualcuno mi narcotizzi finché il film in questione non sparisce dalle sale.

La luna su Torino è pretenzioso, vuoto e assolutamente inutile.

Vorrebbe tanto. Si vede che vorrebbe. E già il fatto che si veda lo rende patetico.

Gli si può concedere una buona realizzazione tecnica, quella sì. Belle la fotografia, le inquadrature, le ambientazioni, le scenografie, insomma, quello che riguarda gli aspetti estetici. Anche se. C’è un’osservazione da fare anche qui, vale a dire che il fatto di scegliere una Torino non convenzionale – non quella delle piazze e dei palazzi storici ma quella post-industriale dell’Igloo di Merz e del Palavela – è troppo ostentato e, quindi, indice troppo rivelatore dell’aspirazione ad un intellettualismo alternativo che ha francamente un po’ rotto i coglioni.

In questo rientra anche la scelta di location volutamente periferiche: il 45° parallelo, centro commerciale di Moncalieri, Zoom, il bioparco (parola che sta a zoo esattamente come operatore ecologico sta a spazzino ma vabbè) di Pinerolo, la villa in una non meglio identificata zona fuori città.

E anche il fatto di non nominare mai Torino ma di continuare a chiamarla la città sul 45° parallelo cercando con questo di attribuirle una dimensione al tempo stesso fiabesca e universale risulta forzato e, a lungo andare, anche irritante. Che poi, questa benedetta faccenda del parallelo equidistante da Polo Nord e Equatore, ok, può essere una curiosità carina, puoi infilarla da qualche parte, in qualche dialogo ma non può essere il filo rosso di tutta la narrazione perché obiettivamente non è una cosa abbastanza consistente. Non regge tutto il significato, più o meno metaforico, di cui la si vuole caricare.

La trama e gli attori.

*la proprietaria del blog tira capocciate alla scrivania*

Tre coinquilini. Due ragazzi e una ragazza. Tre giovani che galleggiano in esistenze che non si sa dove vogliano andare ma che sentono il bisogno di dare una svolta alla propria vita. Tre storie di crisi e di cambiamento. Tre evoluzioni personali.

Queste, almeno, parrebbero le intenzioni.

In realtà abbiamo tre personaggi sciatti e stereotipati e tre storie che non funzionano perché non sono vere. Non sono oneste. C’è troppa attenzione su quello che vorrebbero essere e non rimane nulla di autentico. Troppa attenzione nel cercare di costruire in qualche modo una sorta di esempio per lasciare spazio a qualcosa che non sia una patetica scimmiottatura di ciò che vorrebbe rappresentare.

Non c’è empatia per nessuno dei tre. La trama non decolla. E’ un susseguirsi di scenette staccate e prive di pathos che di per sé hanno poco contenuto e che, anche prese tutte insieme, non creano neanche per sbaglio una qualche unità dell’insieme.

La sceneggiatura ha dei buchi giganteschi. Una per tutte, la scena del pranzo a quattro: qualcuno riesce a spiegarsi perché di punto in bianco quell’oca giuliva della Parodi scoppia in lacrime pigolando che vuole un uomo che la sposi?!?

Penso che quello sia in assoluto il momento più imbarazzante di tutto il film. Sembrava che avessero saltato un pezzo di copione.

E poi. I cliché. I dannati cliché.

Il grassoccio un po’ sfigato, idealista e nullafacente che elargisce citazioni di Leopardi intanto che si dedica alla cucina.

L’universitario demotivato che lavora allo zoo e si divide tra i divertimenti dei ggggiovani e quasi-forse il vero amore? mah.

L’impiegata dell’agenzia di viaggi che – e qui arriva il peggio – sogna uno straniero fascinoso che le porti l’amore, sogna – ovviamente – di fare la modella ma in realtà vuole essere sposata e impazzisce – ma pensa un po’ – per i film d’amore. Rigorosamente quelli in bianco e nero e possibilmente muti.

E poi abbiamo ancora il vecchio burbero e saggio, l’acrobata alternativa e “libera” che ovviamente ha un furgoncino Wolkswagen con i fiori.

No, davvero, mi fermo perché tra un po’ mi butto di sotto per la banalità.

E poi, come se non bastasse, ci sono tutti i riferimenti e le pseudo citazioni disseminati qua e là ad indicare che sì, siamo giovani, scanzonati e idealisti ma siamo anche colti. Come a voler creare una sorta di specchio generazionale. Peccato che Ferrario peschi a casaccio negli ambiti più diversi, evidentemente senza le competenze per farlo, e altrettanto a casaccio rimescoli il tutto con risultati, nel migliore dei casi, deprimenti. Cultura giapponese=manga=cartoni porno. Cultura cinematografica=film di Chaplin. Citazioni, una per tutte anche qui: Maria e la sua amica/collega dell’agenzia che sognano di incontrare qualcuno di nuovo con caratteristiche ideali che sembra voler richiamare l’evocazione di Jack Nicholson del trio Cher-Pfeiffer-Sarandon delle Streghe di Eastwick. Peccato che qui il contesto non c’entri niente e che la cosa risulti, come tutto il resto, appiccicata e pretestuosa.

A tutto ciò si aggiunga una voce fuori campo – anzi le tre voci fuori campo dei tre protagonisti – la cui narrazione vorrebbe conferire unità e un certo tono sognante al tutto ma che di fatto contribuisce solo a rendere stucchevoli anche i pochi momenti che non lo sono.

Poi. Se mi fai un film su Torino, perché diavolo mi prendi degli attori con accento milanese?

Poi. Se vuoi il personaggio della fanciulla sognatrice, ingenua e confusa sul proprio futuro, perché mi prendi la Parodi (che non ho ancora capito in che grado di parentela sia con le altre due) che è vero che ha 26 anni ma con quelle tette rifatte e tutta tirata così ne dimostra almeno dieci di più? Plasticamente ben portati eh, però un tantino fuori luogo.

Qualche sorriso ogni tanto scappa, sostanzialmente sulle due o tre scene utilizzate per il trailer.

E sì, i lemuri del bioparco offrono un’ottima interpretazione, questo bisogna pur ammetterlo.

Cinematografo & Imdb.

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