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Archive for the ‘S. Castellitto’ Category

Un appartamento immerso nel buio.
Rumore di chiavi. Serrature che scattano.
La porta si apre. Contro la luce ocra del corridoio si stagliano due ombre.
La donna entra nella stanza. L’uomo resta sulla soglia, esitante, con la valigia in mano.
Lisa si precipita sulle luci e le accende una dopo l’altra, impaziente di rendere il luogo visibile.
Dopo aver illuminato tutto, indica l’appartamento con un gesto circolare delle braccia, come se mostrasse una scenografia da lei realizzata.

LISA: Allora?

L’uomo scuote la testa. Lei insiste, tesa.

LISA: Ma sì! Non avere fretta. Concentrati.

Lui guarda i mobili uno per uno, coscienziosamente, poi scuote il capo, vinto, distrutto.

LISA: Niente?

GILLES: No.

Un incidente non meglio identificato. Un uomo, Gilles, che si risveglia in un ospedale privo di memoria. E di identità.

La moglie, Lisa, gli è accanto.

Lo riporta a casa e cerca gradualmente di aiutarlo a recuperare i ricordi della loro vita insieme.

Per Gilles è il vuoto. Buio totale.

La loro vita di coppia non significa niente. Non è nemmeno sicuro di poter dare del tu a quella bella donna che sostiene di essere sua moglie.

Le parole di Lisa dipingono il ritratto dei loro anni insieme, della loro vita di coppia. Gilles non si ritrova. Non c’è nulla che faccia scattare la molla dei ricordi. Non i suoi oggetti, non i suoi percorsi quotidiani, né tanto meno le parole di Lisa.

Lisa è tesa. A disagio.

Gilles sa che è successo qualcosa e vorrebbe ricordare l’incidente ma non ci riesce.

Eppure.

Eppure qualcosa non torna.

Perché anche dal profondo di quella strana e ovattata dimensione data dall’amnesia, riemergono dinamiche e abitudini che, private qui del loro passato condiviso, appaiono per questo ancora più surreali.

Certi modi di interagire. Certe reazioni istintive.

Un curioso balletto nella vita di una coppia come tante altre.

Un gioco di verità sempre più pericoloso man mano che ci si avvicina al cuore della sera dell’incidente.

Un continuo rimbalzare e ribaltarsi di ruoli.

Un gioco delle parti dove tutto può essere vero e falso in ugual misura.

Gilles può fidarsi di Lisa?

O nelle sue parole c’è qualcosa che non convince?

Con la consueta garbata ma tutt’altro che leggera ironia, Eric-Emmanuel Schmitt, in questa pièce del 2003 mette in scena e a nudo le scomode verità di una vita di coppia. Le schermaglie, la complicità. Ma anche la diffidenza, il dolore e, perché no, la stanchezza. Le voragini dei non detti, i rancori covati, le aspettative deluse. Ma anche l’attaccamento al di là di ogni ragionevolezza.

E allora chi mente e chi no? Chi si salva e chi è colpevole?

Chi ama di più e chi di meno?

Chi sarà l’assassino?

Crudele, realistico, toccante, divertente, Piccoli crimini coniugali, fa sorridere, fa arrabbiare e, a tratti, fa persino un po’ paura ed è un piccolo gioiello di equilibrio.

Dal testo è stato tratto un film con Sergio Castellitto e Margherita Buy, uscito ad aprile 2017 e che non sembra male.

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Non lo so.

Castellitto in genere mi piace. Lo stesso dicasi della Mazzantini.

Jasmine Trinca è molto brava e Scamarcio, se ben diretto, ha già dato prova di essere un bravo attore.

Ma.

Onestamente il trailer mi sa più di Muccino che di Castellitto e, a monte, il libro Nessuno si salva da solo, secondo me non era tra i più adatti ad essere messo sullo schermo. Oltre a non essere tra i miei preferiti di Margaret, ma questo è un altro discorso ancora.

In realtà, per essere ancora più precisi, teoricamente  l’idea di base avrebbe potuto anche prestarsi al film, data l’impostazione quasi teatrale. Due protagonisti. Due ex coniugi. Uno scontro tra presente e passato. Dialoghi serrati a far venir fuori il non detto, sepolto sotto anni di incomprensione e incomunicabilità.

Però ricordo che lo avevo trovato un libro un po’ forzato. Ben scritto come sempre ma eccessivamente crudele, eccessivamente autocompiaciuto del proprio crogiolarsi nelle quotidiane miserie di una coppia sfasciata.

Insomma. Già il libro tendeva un po’ troppo ad insistere sullo squallore di quei casi umani stile Ultimo bacio e si salvava (lui sì) sostanzialmente per la buona scrittura dell’autrice. Sugli esiti del film sono decisamente poco ottimista.

Non so se andrò a vederlo al cinema.

 

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Gemma e Diego. Una storia d’amore di quelle a cui è impossibile sfuggire. Ci provano. Soprattutto Gemma. Ma il loro è quell’amore travolgente, egoista, che si mangia tutto, le distanze, le miserie quotidiane, le domande.

Roma-Sarajevo. Un viaggio a ritroso nel tempo che Gemma intraprende insieme a suo figlio Pietro per raccontargli una verità che, in realtà, non sa nemmeno lei.

Un passato prepotente, che non si accontenta di rimanere sepolto. E il dolore. Tanto dolore, che esige di essere raccontato e ascoltato, che non accetta semplicemente l’oblio.

Gojko e la sua Sarajevo. Diego e le sue fotografie. Gemma e il suo segreto.

Una maternità cercata fino allo sfinimento, voluta con un’intensità tale da superare qualunque ostacolo, fisico o morale. Un desiderio di maternità cui Gemma e Diego non sanno rinunciare e che è esattamente come il loro amore, totalizzante ed egoista nel pretendere tutto dalle loro vite.

Venuto al mondo è una storia difficile. Nasce come libro di Margaret Mazzantini – uno dei pochi suoi che non ho ancora letto peraltro – e arriva sullo schermo con la sua sceneggiatura, a quattro mani col marito, Sergio Castellitto che è anche regista, come già fu per Non ti muovere. E sempre come in Non ti muovere si replica anche il felice connubio con Penelope Cruz, nei panni della bella e tormentata Gemma.

Una storia struggente, a tratti straziante, a cavallo tra due mondi apparentemente vicini ma poi sempre più distanti, divisi da quell’abisso incolmabile che è la realtà della guerra. Sarajevo. Prima, durante e dopo la guerra. Gemma. Prima, durante e dopo la sua personale guerra per Pietro, suo figlio. Una città e una donna bellissime che si riuniscono e si ritrovano a fare i conti con le macerie e le cicatrici. Perché il passato è più facile viverlo che ricordarlo. E’ più facile correrci attraverso che ripensarci, farci i conti, accettarlo.

Una galleria di personaggi vivissimi, complessi, impossibili da dimenticare. Ovviamente Penelope-Gemma, di una bravura commovente, ma anche Diego, interpretato da Emile Hirsch – che come personaggio in sé mi è risultato antipatico fin quasi alla fine, quando lo si capisce. E poi Gojko e Aska, due figure fortissime e disperate.

Unica critica per quel che riguarda il cast va alla scelta di Pietro Castellitto per la parte del figlio Pietro. Ok, han voluto coinvolgere il pargolo nella lavorazione familiare ma decisamente o non era pronto o non è proprio portato per quel mestiere perché è piuttosto inguardabile. Va bene che la sua è una parte relativamente minore.

Per il resto, regia impeccabile, immagini di grande delicatezza e intensità – anche le più crudeli durante la guerra – e soprattutto un perfetto equilibrio, senza eccessi da melodramma, impresa tutt’altro che facile, data la storia da raccontare.

Bello. Bellissimo. Assolutamente da vedere.

Doloroso, quello sì. Ma Margaret non è mai facile.

Cinematografo & Imdb.

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