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Archive for the ‘Four Past Midnight’ Category

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Mettere Stephen King su schermo è una di quelle cose che sono state fatte talmente tante volte da apparire persino ovvie. La realtà è che andare a pescare tra le storie del Re può rivelarsi una trappola bella e buona perché, se da un lato si ha la certezza di avere un materiale di partenza ricco e avvincente e una trama sviluppata, nella maggior parte dei casi, già quasi in modo cinematografico, d’altro canto se non c’è il supporto di un lavoro di sceneggiatura più che valido si rischia di perdersi in una miriade di dettagli che, se non sono scelti in modo oculato, risultano sconclusionati e fine e se stessi. O, peggio ancora (?) si rischia semplicemente di rendere il tutto mortalmente banale – che poi è un po’ quello che succede quando a scrivere le sceneggiature dei suoi libri ci si mette lo stesso zio Steve (che almeno uno ha la consolazione di constatare che a volte qualcosa viene male pure a lui – si veda, uno per tutti, Pet Sematary).

David Koepp prima che essere un regista è uno sceneggiatore (Carlito’s Way, Jurassic Park, La guerra dei mondi, Mission Impossible, Panic Room, tanto per dirne alcuni) e questo sicuramente ha deposto a favore dell’ottima riuscita della trasposizione.

Secret Window (2003) arriva da un racconto, Finestra segreta, giardino segreto,  contenuto nella raccolta Quattro dopo mezzanotte, del 1990. Siamo in quel filone kinghiano – che peraltro io amo moltissimo – che ha per protagonisti degli scrittori alle prese, in modo più o meno diretto, con i fantasmi del mestiere.

Non so bene come parlare della trama perché è molto a rischio spoiler.

Mort Rainey è uno scrittore affermato che sta attraversando un periodo di crisi a seguito della separazione dalla moglie. Si è da poco trasferito nella casa delle vacanze, un cottage piuttosto isolato sulle rive di un lago, e trascina le sue giornate in modo inconcludente tra un sonnellino e l’altro sul divano e poco convinti tentativi di rimettersi a scrivere.

Un giorno alla sua porta si presenta un inquietante individuo che lo accusa di aver rubato un suo racconto. Mort lo liquida sbrigativamente ma inutilmente.

Le accuse diventano più insistenti. Si trasformano in minacce e atti di intimidazione in quella che diventa una vera e propria persecuzione, mentre Mort cerca di districare la sua vita dagli strascichi di un divorzio che non riesce ad accettare, lo spettro di una precedente accusa di plagio (presumibilmente fondata) e – cosa più importante di tutte, una storia con un finale che deve essere assolutamente sistemato.

Johnny Depp – che qui ancora si meritava di esser stato nominato da Brando suo successore, prima di venire rapito dalla Perla Nera (che è dello stesso anno) – fantastico in un ruolo stralunato e un po’ surreale, nella sua vestaglia sgualcita e nei suoi abiti malconci che tiene su anche per dormire, perso in una dimensione di costante torpore, in un lungo sonnellino pomeridiano dal quale non riesce mai a svegliarsi del tutto. Realtà, sonno – ma non sogno. La storia che interferisce nella realtà fino ad essere essa stessa più reale di molte altre cose. La mente di uno scrittore, fertile ma non sempre controllabile. Fantasmi. Paure.

Horror nell’accezione più ampia e più inquietante del genere. Non il mostro sotto il letto o l’assassino fuori dalla porta. L’orrore che deriva dalle paure più profonde e più inconsce. Quelle che non confessiamo neppure a noi stessi. Quelle che si annidano nella parte più oscura di noi e si manifestano di fronte a uno specchio.

Ottimo anche John Turturro nei panni di John Shooter, l’accusatore squilibrato, dall’aspetto grezzo e dall’atteggiamento ottuso e folle di chi non vuole sentire ragioni.

Maria Bello nel ruolo di Amy, la ex moglie di Mort, è brava, forse fin troppo perché mi risulta antipatica come non mai.

C’è anche Timothy Hutton nel ruolo di Ted, il nuovo compagno di Amy, e, per chi ha familiarità con la filmografia kinghiana, è curioso vedere Thad Beaumont nel ruolo di un amante sfigato dopo averlo visto alle prese con la sua Metà Oscura (1992, G. A. Romero).

Colonna sonora di Philipp Glass.

Un gran bel film, tensione fino all’ultimo, finale cattivissimo e non scontato, momenti di ironia ben dosati. Piacerà anche a chi non è particolare amante né di King né dell’horror in generale perché più che i classici canoni di genere, mette al centro una storia avvincente e ben strutturata che procede spedita senza bisogno di interventi ad effetto.

Cinematografo & Imdb.

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