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Archive for the ‘La regola del silenzio – The Company You Keep’ Category

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L’inizio di quest’anno è stato caratterizzato da una specie di torpore sonnolento che mi ha accompagnato nelle ore più strane che ha ridotto ulteriormente la mia già scarsa voglia di mettere il naso fuori casa.

Se non ovviamente per andare chiudermi in un cinema.

La regola del silenzio è stato dunque il mio primo film in sala del 2013. In realtà la scelta era caduta su Vita di Pi, ma il problema di andare al cinema il giorno di capodanno è che è una scelta maledettamente poco originale e quindi c’era in coda qualcosa come mezza Torino.

Cosa che ha spostato inevitabilmente la scelta su una sala che non avesse posti solo più in prima fila.

Parentesi.

Ma perchè le fanno le prime file? Cioè, quelle proprio appiccicate allo schermo?

Perché intanto c’è sempre qualcuno che pur di entrare prende quei anche quei posti lì.

Gente che non sa come si guarda un film

Senza contare che c’è anche a chi piace stare in prima fila.

Ripeto quanto detto sopra. E poi, ok, non lo condivido ma potevo capirlo forse una volta, quando gli schermi erano comunque più piccoli. Ma adesso? E per di più nelle sale dove fanno i 3D?

Buon anno anche a te, cara.

Chiusa parentesi.

Dicevo. La regola del silenzio – The company you keep (prego, notare che evito di fare polemica sul titolo al quale stavolta hanno aggiunto una sorta di sopratitolo esplicativo che sembra il nome di uno di quei giochi che facevi in cortile alle elementari). Tratto dal romanzo di Neil Gordon (che non ho letto).

Regia di Robert Redford.

Un gruppo di militanti di Weather Underground – organizzazione di sinistra attiva negli Stati Uniti negli anni della contestazione contro la guerra in Vietnam – compie una rapina in banca nella quale rimane uccisa una guardia. Nessuno di loro viene catturato. Per trent’anni si perde completamente qualsiasi traccia finchè una di loro – Susan Sarandon, ovviamente ottima e secondo me sempre più bella col passare degli anni – non viene catturata – paradossalmente proprio quando aveva deciso di costituirsi. Un giovane giornalista rampante – Shia LaBeouf – segue il caso e viene in contatto con Jim Grant, brillante avvocato, vedovo, padre di una bambina, che ha rifiutato la difesa dell’ex terrorista. E che sembra non essere mai esistito prima degli anni Settanta. L’identità fittizia dell’ex-militante crolla; cominciano la fuga e la caccia all’uomo. Ma continuano anche le indagini del giornalista che, a differenza del governo che punta solo alla cattura, intuisce una verità diversa da quella che sembra essere scontata. Si ritrova per le mani una realtà più complicata di quella che si era aspettato e soprattutto si trova in prima persona di fronte alle stesse scelte – etiche prima ancora che politiche – che già altri prima di lui avevano dovuto affrontare.

Cast di ottimo livello, trama complessa e articolata ma dalla struttura estremamente solida, ritmo serrato, senza deviazioni o colpi di scena inutili. Redford, sempre impeccabile anche nell’interpretazione, costruisce un thriller giornalistico-politico dallo stile pulito e dall’impronta più classica rispetto a quel che siamo abituati a vedere, dove l’azione è limitata all’essenziale e, soprattutto, è giustificata in funzione di una trama che non si limita a raccontare ma pone delle domande. Forse non originalissime – siamo nell’ambito dell’eterno quesito sulla legittimazione della violenza per una giusta causa e dell’altrettanto eterna dicotomia tra una fedeltà incondizionata ad un ideale e una realtà che spesso ne sfianca la potenza e soprattutto l’integrità – forse neanche più molto attuali, e forse persino un po’ troppo semplificate per certi aspetti, ma che comunque esigono se non una risposta, quanto meno una riflessione. E che indirizzano l’attenzione verso la componente umana che inevitabilmente è alla base di qualsiasi realtà socio-politica.

Da vedere.

Cinematografo & Imdb.

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