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Archive for the ‘1998’ Category

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Il tour dei 20 anni.

La ventesima data del tour dei vent’anni.

Più di due ore di concerto, una setlist come non se ne vedevano da anni.

Brani riesumati nonostante reticenze storiche.

Tributo a Leonard Cohen in apertura.

Tributo a Bowie su Without You I’m Nothing e il mio cuore sprofondato da qualche parte da cui non è ancora risalito.

Brian in forma come non lo si vedeva da tempo. Non tanto fisicamente quanto emotivamente. Quasi in pace con le sue parole, con la sua musica. Felice e forse anche un po’ incredulo di essere veramente lì.

Potenti come (forse) si era temuto non potessero più essere, in alcuni momenti hanno davvero riavvolto il tempo e questi vent’anni erano tutti lì, tutti presenti nello stesso momento, nello stesso turbine di note e grida e sudore e parole urlate in una notte troppo fredda contro una luna troppo grande.

Ad oggi, il loro miglior concerto cui abbia assistito.

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SETLIST

Every You Every Me (Casino video on the screen)
Pure Morning
Loud Like Love
Jesus’ Son
Soulmates
Special Needs
Lazarus
Too Many Friends
Twenty Years
I Know
Devil in the Details
Space Monkey
Exit Wounds
Protect Me from What I Want
Without You I’m Nothing
36 Degrees (slow version)
Lady of the Flowers
For What It’s Worth
Slave to the Wage
Special K
Song to Say Goodbye
The Bitter End

Encore:

Teenage Angst (slow version)
Nancy Boy
Infra-red

Encore 2:

Running Up That Hill (A Deal with God)

 

 

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E voglio giocare a nascondino e darti i miei vestiti e dirti che mi piacciono le tue scarpe e sedermi sugli scalini mentre fai il bagno e massaggiarti il collo e baciarti i piedi e tenerti la mano e andare a cena fuori e non farci caso se mangi dal mio piatto e incontrarti da Rudy e parlare della giornata e battere a macchina le tue lettere e portare le tue scatole e ridere della tua paranoia e darti nastri che non ascolti e guardare film bellissimi e guardare film orribili e lamentarmi della radio e fotografarti mentre dormi e svegliarmi per portarti caffè brioches e ciambelle e andare da Florent e bere caffè a mezzanotte e farmi rubare tutte le sigarette e non trovare mai un fiammifero e dirti quali programmi ho visto in tv la notte prima e portarti a far vedere l’occhio e non ridere delle tue barzellette e desiderarti di mattina ma lasciarti dormire ancora un po’ e baciarti la schiena e carezzarti la pelle e dirti quanto amo i tuoi capelli i tuoi occhi le tue labbra il tuo collo i tuoi seni il tuo culo il tuo

e sedermi a fumare sulle scale finché il tuo vicino non torna a casa e sedermi a fumare sulle scale finché tu non torni a casa e preoccuparmi se fai tardi e meravigliarmi se torni presto e portarti girasoli e andare alla tua festa e ballare fino a diventare nero e essere mortificato quando sbaglio e felice quando mi perdoni e guardare le tue foto e desiderare di averti sempre conosciuta e sentire la tua voce nell’orecchio e sentire la tua pelle sulla mia pelle e spaventarmi quando sei arrabbiata e hai un occhio che è diventato rosso e l’altro blu e i capelli tutti a sinistra e la faccia orientale e dirti che sei splendida e abbracciarti se sei angosciata e stringerti se stai male e aver voglia di te se sento il tuo odore e darti fastidio quando ti tocco e lamentarmi quando sono con te e lamentarmi quando non sono con te e sbavare dietro ai tuoi seni e coprirti la notte e avere freddo quando prendi tutta la coperta e caldo quando non lo fai e sciogliermi quando sorridi e dissolvermi quando ridi e non capire perché credi che ti rifiuti visto che non ti rifiuto e domandarmi come hai fatto a pensare che ti avessi rifiutato e chiedermi chi sei ma accettarti chiunque tu sia e raccontarti dell’angelo dell’albero il bambino nella foresta incantata che attraversò volando gli oceani per amor tuo e scrivere poesie per te e chiedermi perché non mi credi e provare un sentimento così profondo da non trovare le parole per esprimerlo e aver voglia di comperarti un gattino di cui diventerei subito geloso perché riceverebbe più attenzioni di me e tenerti a letto quando devi andare via e piangere come un bambino quando poi te ne vai e schiacciare gli scarafaggi e comprarti regali che non vuoi e riportarmeli via e chiederti di sposarmi e dopo che mi hai detto ancora una volta di no continuare a chiedertelo perché anche se credi che non lo voglia davvero io lo voglio veramente fin dalla prima volta che te l’ho chiesto e andare in giro per la città pensando che è vuota senza di te e volere quello che vuoi tu e pensare che mi sto perdendo ma sapere che con te sono al sicuro e raccontarti il peggio di me e cercare di darti il meglio perché è questo che meriti e rispondere alle tue domande anche quando potrei non farlo e cercare di essere onesto perché so che preferisci così e sapere che è finita ma restare ancora dieci minuti prima che tu mi cacci per sempre dalla tua vita e dimenticare chi sono e cercare di esserti vicino perché è bello imparare a conoscerti e ne vale di sicuro la pena e parlarti in un pessimo tedesco e in un ebraico ancor peggiore e far l’amore con te alle tre di mattina e non so come non so come non so come comunicarti qualcosa dell’assoluto eterno indomabile incondizionato inarrestabile irrazionale razionalissimo costante infinito amore che ho per te.

Crave – Febbre, 1998

 

Non avevo idea di chi fosse Sarah Kane.

E probabilmente non ce l’ho nemmeno adesso.

Ho pescato questo libro a caso, in base al principio che se continuo a comprare solo cose che conosco, o di cui in qualche modo ho sentito parlare, non vado da nessuna parte e quindi porto avanti uno sgangherato, incoerente, disomogeneo e disorientante percorso di acculturamento casuale.

Ci sarebbe da approfondire la mia più o meno inconscia attrazione per autori e autrici che si sono suicidati.

E ci si potrebbe soffermare sulla fitta rete di legami e risonanze che mi hanno portato ad avere tra le mani questo libriccino scritto da una ragazza che si è tolta la vita a 28 anni dopo aver lasciato cinque lavori teatrali di indubbia potenza.

Per tutti i primi tre testi, Blasted, Phedra’s Love e Cleansed, devo dire la verità che l’ho odiato, questo libriccino.

E ho odiato l’autrice e la critica che ne ha osannato la portata dirompente.

Non so. Riesco a capire cosa stesse cercando di fare ma non riesco ad apprezzare queste gallerie di orrori reali che in certi momenti mi hanno ricordato la morbosità di un Bret Easton Ellis. Sesso e violenza nelle loro declinazioni peggiori. Mutilazioni e cannibalismo e via così.

Davvero. Ho odiato quei tre testi. Non credo che vorrei mai vederli rappresentati. E non per un problema di finto moralismo.

Non mi sento ferita né tanto meno il bersaglio di una deliberata intenzione di stupire – mi parrebbe persino banale, dato che stiamo parlando degli anni Novanta.

E’ solo che c’è una certa declinazione del disturbante che non fa per me. Non riesco a entrarvi in sintonia.

E poi sono arrivata a Crave (Febbre) e a 4:48 Psychosis e si è come aperto uno squarcio nell’orrore trasmesso dai lavori precedenti.

Sono due testi difficili, inquietanti ed estremamente dolorosi al fondo dei quali si riesce a intravedere l’abisso che alla fine ha inghiottito Sarah.

Sono due testi che ho trovato estremamente toccanti. Toccanti in un modo persino più inquietante dell’orrore degli altri tre.

Non lo so. Devo ancora inquadrare molti elementi.

Ci sono domande che emergono provocatorie, come per esempio, quanto ha contato nella consacrazione di questa autrice il fatto che si sia tolta la vita dopo aver concluso 4:48 Psychosis – che altro non è che una lunga suicide note in forma di monologo?

Quanto ha influito il fatto che fosse donna nell’amplificare ulteriormente l’impatto della violenza dei suoi testi?

Ci sono elementi che mi hanno colpita molto e altri che mi hanno lasciato enormi perplessità.

Controversa. Almeno nella mia opinione. Probabilmente rileggerò e approfondirò.

Di sicuro interessante.

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E niente. Causa l’arrivo di questa bella creatura gialla io sono di nuovo in fissa per quest’album.

Usciva il 12 ottobre 1998, quindi siamo anche in zona anniversario.

 

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E niente. Prossima settimana, il 20 per l’esattezza, concerto Placebo all’Arena di Verona.

Era inevitabile che cominciassi a manifestare i sintomi.

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Iris sta proponendo una rassegna di film con Sean Penn e io mi ci sono ovviamente persa.

Poi, sarà che stasera, oltre a questo, hanno passato anche She’s so lovely ma sono in pieno attacco di nostalgia per la coppia Penn-Wright. Anche volendo ignorare il lato privato della loro relazione, sul set erano una coppia fenomenale. Come Diane Keaton e Woody Allen. E comunque anche l’aspetto privato ha il suo ruolo. E’ uno di quegli esempi di totale affiatamento emotivo e professionale che quando si verificano producono sempre risultati notevoli.

Ma perché si sono lasciati? Perché? Non mi do pace.

Se non altro per i pasticci causati dal cambio di accrediti di Robin Wright che prima si è aggiunta il cognome di lui e poi se l’è di nuovo fatto togliere mettendo a dura prova le banche dati cinematografiche che, nella foga di star dietro all’accredito corretto, puntualmente si perdono qualche pezzo della sua filmografia.

Bugie, baci, bambole & bastardi (1998) è basato sul testo teatrale Hurlyburly (1984) di David Rabe.

Lo vidi al cinema quando uscì in sala e da allora non l’avevo mai più rivisto fino a stasera. Ricordavo che mi era piaciuto ed effettivamente confermo il mio giudizio di allora.

Fine anni Novanta. Los Angeles. Hollywood. Quattro amici, tra droghe, problemi di donne, aspirazioni artistiche frustrate, solitudine. Sembra cupo ma non lo è in realtà. Ironia. Tanta. Cinismo a palate. Sarcasmo. E i telegiornali costantemente in sottofondo, con il panorama di quegli anni a fare da sfondo alla decadenza post-hollywoodyana in cui si muovono i protagonisti. C’è la disillusione. C’è il mito smitizzato di Hollywood – da questo punto di vista l’inquadratura di Sean Penn con la scritta Hollywood sfocata sullo sfondo è particolarmente interessante.

E’ un film divertente – a tratti spassoso – e amaro allo stesso tempo. Il personaggio di Sean Penn, Eddie, in particolare è quello più rappresentativo dello spirito dell’opera. Probabilmente il vero protagonista. Non a caso il film si apre e si chiude su di lui. Eddie è esattamente a metà tra il cinico distacco di Mickey (Kevin Spacey) e l’emotività schizofrenica di Phil (Chazz Palminteri) e questa via di mezzo lo lascia lacerato, tormentato e fondamentalmente solo.

Nel cast ci sono anche Robin Wright, Anna Paquin (Rogue degli X-Men) e Meg Ryan. Sulla prima non posso che aggiungere ulteriori lodi, la seconda non è un’attrice che mi faccia impazzire ma in questo ruolo è effettivamente valida e Meg Ryan è brava, non si può negare (anche se per me lei è Sally e basta).

Resta tuttavia una considerazione. Non ho il testo teatrale e non so quanto il copione del film sia letteralmente fedele ad esso, ma l’impressione che ho avuto è stata quella di un film che funziona grazie all’abilità e al carisma degli attori – la coppia centrale Spacey-Penn è fenomenale – sulla base di un testo che di per sé a volte risulta fin troppo contorto. Per dire, mentre con Carnage – tanto per fare il primo esempio che mi viene in mente – gli attori aggiungono tantissimo ma il testo di base si regge perfettamente da solo, in questo caso il testo rischia in diversi punti di arenarsi o sprofondare in grosse sacche di introspezione monologata. Non sono per niente facili i monologhi di Penn e di Spacey. In particolare i primi. La disperazione di Eddie è così terribilmente decadente da sfiorare in certi punti il cliché. Ci va un’interpretazione perfetta per salvarli e arginare le controindicazioni derivanti da un eccesso di pathos.

In ogni caso è un ottimo film. Dal ritmo incalzante e dall’intreccio ben strutturato, costruito interamente, più che sulle vicende, sulle dinamiche relazionali-emotive che legano i protagonisti.

Cinematografo & Imdb.hurlyburly

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