Ultimo capitolo.
Regia sempre di Francis Lawrence, che ha diretto tutta la saga tranne il primo e che, per la cronaca, non è parente di Jennifer, si tratta solo di omonimia.
Ero partita con l’intenzione di evitare spoiler ma finirei solo col ripetere quello che ho già detto su tutti gli altri capitoli. Buon film, estrema fedeltà ai libri, ottima resa visiva (la scena dell’onda di petrolio è fighissima), e via così.
In realtà quest’ultima parte del terzo libro è parecchio delicata e richiede un discorso a parte. Non è solo una questione di complessità di intreccio.
Il finale di tutta la saga è di un’amarezza profonda e che non può essere riscattata da niente e da nessuno.
Ne avevo parlato qui, quando lessi il libro.
Ora, nel film gli avvenimenti ci sono tutti, non manca niente. E questo già è un bene perché temevo sinceramente che potessero addolcire il tutto per ragioni di marketing. Però, non so, non ha lo stesso impatto emotivo del libro.
E non per le ovvie differenze tra libro e film.
Forse non sono neanche ancora riuscita ad identificare bene cos’è che mi ha trasmesso questa impressione, ma ho avuto chiara la sensazione che alcuni passaggi fossero tirati via un po’ troppo in fretta.
La parte sulla votazione degli ultimi Hunger Games, l’abbozzo di ascesa della Coin e la freccia di Katniss sono ben articolate. Così come il fatto che la Coin fosse una minaccia. La sua ambiguità è palese fin da quando entra in scena.
E va bene.
E’ la parte delle bombe sui bambini che arriva troppo in fretta. Talmente in fretta che non si capisce bene che cosa stia succedendo se non si è già letto il libro. E’ vero che quel punto è un pugno nello stomaco e forse non han voluto calcare troppo la mano. Però secondo me meritava una costruzione più lineare. Anche perché, di conseguenza, risulta poco chiara anche la faccenda della bomba a scoppio ritardato che uccide Prim. La bomba di Gale, che uccide Prim. Sì, lo spiegano. Lo fanno dire a Katniss. Ma sentir spiegare una cosa non ha lo stesso impatto di comprenderla mentre la si vede succedere.
Poi, per il resto è tutto perfetto. Fermo restando il fatto che siamo invasi da saghe aventi per protagonisti giovani eroi ed eroine alle prese con futuri distopici più o meno tragici e destinati a riscattare le sorti dell’umanità, questa di Suzanne Collins rimane una delle più intelligenti e meglio strutturate in cui mi sia imbattuta nell’ultimo decennio. E lo stesso vale per la trasposizione cinematografica, che risulta quasi totalmente libera dai difetti che solitamente tendono a colpire i film di questo genere – primi fra tutti eccessi di enfasi eroica e ammiccamenti a troppe fasce d’età contemporaneamente.
Di certo viene trasmessa molto bene la paradossalità della situazione finale. Il conflitto raggiunge proporzioni tali che si annullano le differenze. Non ci sono più oppressori e ribelli. Non ci sono più buoni o cattivi. Non ci sono più motivazioni e non ci sono più limiti. Tutto diventa lecito e tutto perde senso.
Ci sono solo persone che ammazzano persone e sono convinte di avere una ragione per farlo. Ci sono persone convinte di poter avere il controllo. Non importa da che parte stiano. E’ l’orrore della guerra. L’abisso insondabile di una violenza che non può essere per una giusta causa. La bomba di Gale è l’esempio di tutto ciò ed è l’esempio più crudele che potesse materializzarsi.
E’ il passo oltre il confine. E’ il punto di non ritorno. Tutti i legami sono spezzati. E’ il tempo che non può tornare indietro e non può essere cambiato.
E’ il male irreversibile per il quale non c’è redenzione. Al quale forse si può sopravvivere ma che non si può superare.
Il libro lascia sicuramente più spazio a questa desolazione rispetto al film. Ecco, forse l’unico tentativo di ammorbidimento nella versione cinematografica è proprio il fatto di passare subito piuttosto in fretta al dopo. A quel futuro che Katniss e Peeta si trovano a condividere.
Il cast è il solito e di altissimo livello. Continuo a ripetere che Woody Harrelson per Haymitch è una delle scelte più azzeccate della storia del cinema.