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Archive for the ‘In giro per il mondo’ Category

Riemergo.

Giusto in tempo per devolvere gli ultimi soldi residui al Salone.

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Ok, lo so, sono ricascata su Anne Rice dopo averla evitata per anni in seguito al deragliamento delle Vampire Chronicles in direzioni di dubbia pertinenza vampiresca e dopo la sua svolta pseudo-mistica e pseudo-cattolica che ha tragicamente influenzato la sua creatività. Come attenuante posso dire che sono reduce, tra le altre cose, da un giro a New Orleans (con ovvia tappa di fronte all’ex dimora Rice) e da una profonda immersione nei luoghi di Louis e Lestat, il che mi ha lasciato addosso una grande nostalgia dal momento che, come probabilmente avrò già esternato più volte, ho vissuto una consistente parte della mia adolescenza in quella precisa parte di universo letterario.

Non mi sono azzardata a riavventurarmi proprio nelle Cronache e, non avendo nessuna voglia di imbarcarmi nella Trilogia dei Sensi, ho ripiegato su questo Angel del quale, in effetti, so ben poco. In realtà, da una prima occhiata ho già beccato alcune cose che mi hanno fatto storcere il naso e non escludo di uscirne delusa e brontolante ma tant’è, ai raptus non c’è rimedio.

Il libriccino piccolo e bianco del quale non si legge quasi il titolo invece è l’ultimo di Benni, Pantera, e il caso ha voluto che, pur senza aver avuto il tempo di consultare il calendario degli ospiti, sia capitata al Salone giusto in tempo per la sua presentazione. Tempo di finire il libro e mi dilungherò anche sull’evento.

Ultima cosa. Ma da quand’è che Vassalli pubblica con Rizzoli? Boh, poi magari sono io che come al solito mi son persa qualcosa ma sono rimasta piuttosto perplessa.

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Erano davvero parecchi anni che accarezzavo l’idea e finalmente quest’anno – grazie ad una favorevole congiunzione di ferie e calendario delle proiezioni – sono riuscita ad andare all’apertura della Mostra del Cinema di Venezia.

Se dal punto di vista della location il fatto di dover migrare al Lido spezza un po’ la magia dell’atmosfera della laguna, il clima elettrizzato dell’evento costituisce una buona ricompensa.

Fatto tutto quanto il rito richiede – red carpet, foto, video, autografi (compatibilmente con gli schieramenti compatti delle orde di sedicenni in piena tempesta ormonale) e, naturalmente, film.

La favorevole congiunzione di cui parlavo prima è consistita nel fatto che, durante i tre giorni trascorsi lì, hanno presentato esattamente i tre film che avevo puntato prima ancora di vedere il calendario, ossia The Ides of March di Clooney, Carnage di Polanski e A Dangerous Method di Cronenberg. Come seconde proiezioni W.E. di Madonna e Un etè brulant di Philippe Garrel.

Partiamo dal fondo.

Un etè brulant è di fatto l’unico brutto film che ho visto in questi tre giorni. Non ci sono altre parole per descriverlo. E’ proprio brutto. E, nonostante i miei pregiudizi, non è neanche colpa della Bellucci – che quando parla in francese risulta un filo più vicina alla parola recitazione di quanto non sia in italiano. Luis Garrel – che aveva dato una prova più che discreta nei Dreamers di Bertolucci – sotto la direzione del padre tenta pietosamente di riciclare quanto imparato da BB e il risultato è una patetica scimmiottatura di se stesso con un repertorio di al massimo due espressioni facciali.

Gli altri attori è praticamente come se non ci fossero.

La trama è slegata, sconclusionata, pretestuosa. Di bollente non c’è proprio nulla, neanche la tanto decantata nudità della Bellucci che concede (e per fortuna direi) una sola scena in asciugamano da doccia ma nulla di più.

In sala è stato un continuo fuggi fuggi per tutta la durata del film.

W.E. di Madonna invece non mi è dispiaciuto affatto, nonostante le critiche che ha raccolto (in parte sicuramente dovute al fatto che lei sul red carpet non si è avvicinata al pubblico ma si è limitata ad un veloce saluto, cosa che ha contrariato non poco fans e giornalisti – come se Madonna avesse ancora bisogno di approvazione da parte della stampa). Sarà che non nutrivo particolari aspettative, ma l’ho trovato delicato e nel complesso gradevole. Per carità, si vede che lei non fa la regista di mestiere e per molti aspetti è forse un tantino “scolastico”, ma il risultato non è male.

Viene ripercorsa la vicenda di Wallis Simpson e del re Edoardo III accostando gli eventi di allora alla vita di una Wally contemporanea che trova nella sua omonima di sessant’anni prima un modello, un conforto, una qualche forma di speranza per affrontare un matrimonio claustrofobico e, di fatto, morto.

Molto “femminile”, forse un po’ troppo impegno nel cercare il pathos, ma tutto sommato coinvolgente.

A Dangerous Method. Cronenberg. Viggo Mortensen, Vincent Cassel, Michael Fassbender, Keira Knightley. Manco a dirlo il red carpet di quella sera è stato un delirio; un po’ a causa delle summenzionate orde di sedicenni (che stazionavano lì dalle 7 del mattino e che – per inciso – non avrebbero neanche visto il film dato che sono tutti vietati ai minori di 18 anni) un po’ anche a causa del fatto che i divi in questione sono arrivati tutti insieme e tutti abbastanza tardi creando non poca confusione tra sicurezza, pubblico e stampa. L’unica a non avvicinarsi ai fans benché chiamata a gran voce è stata Keira Knightley; l’unico a non essere praticamente chiamato da nessuno è stato Cronenberg – e questo la dice lunga reale passione cinefila della massa (ebbene sì, lo ammetto, ci avevo sperato, mi sono portata dietro la cover degli Inseparabili ma non sono riuscita a farmela autografare…sigh).

Il film. Molto ben fatto e molto bravi gli attori, con una particolare nota di merito per Keira Knightley che interpreta Sabine Spielrein tra Jung (Fassbender – medico e amante) e Freud (Mortensen) negli anni cruciali della collaborazione, della sperimentazione e infine della rottura tra i due grandi rappresentanti della psicanalisi. Il personaggio della Spielrein è difficile, sia come figura in sé sia da un punto di vista interpretativo e KK riesce bene a renderne la complessità, divisa tra la passione e il talento per la psicanalisi, le turbe sessuali legate ai traumi infantili e la lucida consapevolezza del suo stato di malattia.

Volendo fare un’osservazione (che non è necessariamente una critica), A Dangerous Method non sembra neanche tanto un film di Cronenberg – sì c’è la morbosità del comportamento della protagonista ma mancano molti di quegli elementi – visivi e non – che marcatamente contraddistinguono i suoi film.

Carnage. Polanski. Kate Winslet, John c. Reilly, Cristoph Walz e (assente) Jodi Foster.

Red carpet divertente e ragionevolmente rilassato. Tutti molto gentili e disponibili (Kate Winslet è quella che si è fermata più di tutti con i fans). Polanski ovviamente assente per ragioni legali.

Il film è il mio preferito in assoluto dei tre giorni. E’ geniale, ironico e in certi momenti realmente spassoso. Tratto dall’omonima pièce teatrale di Yasmina Reza, Carnage vede due coppie di genitori che si ritrovano per appianare civilmente una lite sorta tra i due rispettivi figlioli, uno dei quali ha fatto saltare i denti all’altro mentre se le suonavano di santa ragione.

Viene messo in scena il progressivo degenerare dei comportamenti e dei rapporti interpersonali di pari passo con il crollare delle inibizioni dettate dalla formalità e con l’allontanarsi sempre di più dal politically correct in favore della spontaneità. Una volta che le maschere vengono definitivamente calate e i protagonisti si rivelano per quello che sono la civile e formale riunione tra persone di “un certo livello” sfocia in quella che altro non è che una vera e propria carneficina, appunto.

Decisamente il mio favorito. Sarei veramente felice se stasera si portasse a casa il Leone d’Oro.

E arriviamo così al film d’apertura. The Ides of March.

Clooney dà un’ottima prova di regia, migliore ancora di quella di Good Night and Good Luck (In amore niente regole non l’ho visto). Ottimo Ryan Gosling nei panni del protagonista, molto al di sopra delle sue precedenti interpretazioni, mentre Evan Rachel Wood è brava ma non spicca particolarmente.

Il film racconta la progressiva descensio morale e ideologica di un politico americano di pari passo con il progredire della sua posizione. Il ritmo è serrato e veloce e non lascia spazio a cali di tensione. I riferimenti alla politica americana contemporanea sono evidenti come lo è il tono di esplicita denuncia, in quella che è la fotografia di una dimensione politica molto prossima alla caduta libera.

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