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Archive for the ‘S. Hopkins’ Category

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La storia di Jesse Owens, il famoso atleta che con la sua partecipazione alle Olimpiadi di Berlino nel 1936 valse agli Stati Uniti 4 medaglie d’oro e una reputazione più democratica di quanto non meritassero in realtà.

E’ una bella storia, quella di Owens. E’ bella soprattutto perché è vera.

Ma proprio perché è vera è anche piena di note stonate, di zone che rimangono in ombra.

Da un punto di vista strettamente tecnico, quello che propone Hopkins è un buon biopic, lineare e coinvolgente. Senza eccessi di eroismo né eccessive licenze a beneficio della spettacolarizzazione della vicenda.

Leggo un po’ di recensioni in giro e trovo che la maggior parte dei toni sono piuttosto tiepidi, proprio per questa ‘tranquillità’ di approccio, se così si può dire.

Personalmente, in generale, trovo apprezzabile quando, di fronte ad una storia vera, si cerca di limitare la tendenza tipica americana a iperenfatizzare la realizzazione di un sogno/un’impresa/un obiettivo a favore di una ricostruzione più piana dei fatti.

Esagerare con l’eroismo, romanzare troppo, lungi dal valorizzare la vicenda, la danneggia . Magari ha più impatto nell’immediato ma in definitiva tende ad appiattire, ad uniformare tutto nel grande calderone indistinto di una macrocategoria che suona un po’ come Rivalsa all’Americana.

Discorso, questo, che mi sento di fare doppiamente nel caso di Race.

Perché, a ben vedere, l’America non ci fa questa gran figura neanche lei. Si salva solo giusto per esser meno peggio dei nazisti – e ci va pure poco.

Owens (Stephan James) è solo. Forse non contro tutti, ma è comunque solo. Che sia a casa sua, che sia a Berlino. Che sia in pista all’università o in uno stadio gremito.

Owens è solo con i suoi tempi e la sua velocità.

E ha la forza, l’intelligenza e la costanza di riuscire a rimanere solo.

E la sua solitudine è l’unica cosa che lo fa arrivare fino in fondo. Che gli impedisce di perdersi lungo un percorso costellato di forze opposte che cercano, in un modo o nell’altro, di strumentalizzarlo.

L’unico veramente dalla sua parte è Larry Snyder (Jason Sudeikis), il suo couch. L’unico che riesce ad appoggiarlo e ad accompagnarlo senza altro motivo che la corsa in sé.

Siamo nel ’36. E sì, ci sono i nazisti che cominciano a fare le loro porcate e tutta l’attenzione si concentra lì, su una Berlino che si ripulisce appena, per dare al resto del mondo il pretesto per continuare a far finta di niente ancora un po’ senza sentirsi la coscienza sporca.

Berlino è il problema. La partecipazione o meno dell’America alle Olimpiadi è il punto. Sono in gioco equilibri politici e presunti ideali.

E poco importa l’incoerenza dei negri in un settore separato sui mezzi pubblici. Poco importa se i negri devono aspettare per usare le docce.

Poco importa se devono usare la porta sul retro per entrare in un locale.

Siamo nel ’36, dicevo. Prima di tutte le battaglie per i diritti civili.

E allora, da un lato abbiamo un’America preoccupata di non farsi associare all’abominio delle teorie razziali che si diffondono in Germania, mentre in casa propria non si pone alcun problema sull’integrazione.

E d’altro canto è quella stessa America che a Berlino ci va e porta sul podio un nero con quattro medaglie d’oro.

Lo stesso nero che non riceverà comunque mai alcun riconoscimento ufficiale da parte della Casa Bianca.

E c’è la Germania ormai a un passo dal delirio di fanatismo e orrore accanto alla Germania dell’atleta tedesco che fa il giro d’onore insieme a Jesse e della cineasta che riprende tutto, anche quello che Goebbles vorrebbe non vedere.

Contraddizioni. Tante, profonde e dolorose.

Emergono forti e stridenti e trovo che questo sia un aspetto estremamente apprezzabile del film di Hopkins.

Peccato che in italiano si perda la duplice valenza della parola Race.

Da vedere. Nel cast anche Jeremy Irons e William Hurt.

Cinematografo & Imdb.

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