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Archive for the ‘1846’ Category

la vedetta della Madonna della Guardia dette il segnale della nave a tre alberi il Faraone, che veniva da Smirne, Trieste e Napoli.

Com’è d’uso, un pilota costiere partì subito dal porto, passò vicino al Castello d’If e salì a bordo del naviglio fra il capo di Morgiou e l’isola di Rion.

Contemporaneamente com’è elegantemente d’uso, la piattaforma del forte San Giovanni si ricoprì di curiosi; poiché é sempre un avvenimento di grande interesse a Marsiglia l’arrivo di qualche bastimento, in particolare poi quando questo legno, come il Faraone, si sapeva costrutto, arredato e stivato nei cantieri della vecchia Phocée e appartenente ad un armatore della città. Frattanto il naviglio avanzava ed aveva felicemente superato lo stretto, formatosi da qualche scossa vulcanica fra l’isola di Casareigne e quella di Jaros.

Aveva oltrepassato Pomègue, avanzando il suo gran corpo sotto le sue tre gabbie ma tanto lentamente, e con andamento sì tristo, che i curiosi, con quell’istinto che presagisce le disgrazie, si domandavano quale infortunio fosse accaduto a bordo.

Tuttavia gli esperti alla navigazione riconoscevano che se un qualche accidente era avvenuto, questo non era al materiale del bastimento, poiché se procedeva lentamente, lo faceva nelle condizioni di un naviglio eccellentemente governato. La sua ancora era gettata, i pennoni di bompresso abbassati, e vicino al pilota che s’apprestava a dirigere il Faraone nella stretta entrata del porto di Marsiglia era uno svelto giovane, che con occhio attivo sorvegliava ciascun movimento del naviglio, e ripeteva ciascun ordine del pilota.

La vaga inquietudine che commoveva la folla aveva particolarmente agitato uno degli accorsi alla spianata di San Giovanni, che non volle attendere l’entrata del bastimento nel porto, ma saltò in una barchetta e ordinò di vogare avanti al Faraone, che raggiunse dirimpetto all’ansa di riserva.

Il giovane marinaio, vedendo giungere quest’uomo, lasciò il suo posto a lato del pilota, e venne col cappello in mano ad appoggiarsi al parapetto del bastimento. Era un giovane di vent’anni circa, alto, snello, con occhi neri, e capelli color dell’ebano. Si scorgeva in tutta la persona quell’aspetto di calma e di risoluzione che sono proprie degli uomini avvezzi fin dalla loro infanzia a lottare coi pericoli.

“Ah siete voi Dantès?” esclamò l’uomo della barca. ” E che è accaduto, e perché quest’aria di tristezza sulla vostra nave?”

“Una gran disgrazia, signor Morrel” rispose il giovane, “gran disgrazia particolarmente per me. All’altezza di Civitavecchia abbiamo perduto il bravo capitano Leclerc…”

“Ed il carico?” domandò con premura l’armatore.

“E’ giunto a buon porto, signor Morrel, e sono persuaso che sotto questo aspetto sarete contento. Ma il povero capitano Leclerc…”

“Che gli è dunque accaduto?” domandò l’armatore notevolmente rallegrato. “Che accadde a questo bravo Capitano?”

“E’ morto.”

“Caduto in mare?”

“No, morto di una febbre cerebrale, in mezzo ad orribili patimenti.”

Poi voltandosi verso l’equipaggio disse:

“Olà eh! Ciascuno al suo posto per l’ancoraggio.”

L’equipaggio obbedì.

Nel medesimo istante gli otto o dieci marinai che lo componevano si slanciarono alcuni sulle scotte, altri suo bracci, taluni sulle dritte, altri ancora sul carico abbasso del trinchetto, e il rimanente, infine, agli imbrogli delle vele.

Il giovane marinaio gettò uno sguardo noncurante agli inizi della manovra e vedendo che si eseguivano i suoi ordini ritornò al suo interlocutore.

A. Dumas, Il conte di Montecristo, 1846

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