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Archive for the ‘Il grande Gatsby’ Category

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Da un po’ non mi capitava di uscire dal cinema con l’emotività così rimescolata.

Il Gatsby di Luhrman è esattamente quello che mi aspettavo e esattamente quello che volevo.

Dopo la parentesi un po’ piattina di Australia (2008) – non un brutto film, quello non si può dire, solo non sembrava un suo film – ritorna con tutta la potenza visiva di Moulin Rouge (2001) e con l’ambizione di Romeo+Juliet (1996).

Accoglienza gelida a Cannes ho letto. E ad essere sincera non ho riscontrato grandi entusiasmi neanche nella maggior parte delle persone con cui ho parlato che l’hanno visto in sala ma il punto è che Baz Luhrman ha uno stile estremamente suo ed estremamente riconoscibile che o ti prende o ti infastidisce perché è comunque impossibile da ignorare.

Io, nel caso non si fosse capito, lo adoro, motivo per cui ho avuto la pelle d’oca per i primi venti minuti di film e le lacrime agli occhi in moltissimi momenti per la sua bellezza.

L. non rappresenta la realtà quale è ma ne mette in scena la versione mitizzata, iperbolica, elevata all’ennesima potenza. Supera la distanza che passa tra la realtà di un avvenimento e il ricordo di esso. Filtrato, amplificato, distorto per gratificare le proprie esigenze emotive.

Gli anni Venti di Luhrman (così come la contemporaneità di R+J o la Parigi di fine Ottocento di MR) non sono gli anni Venti per come sono stati e al tempo stesso lo sono perché sono il mito di se stessi.

Il personaggio di Gatsby si presta particolarmente a questo genere di operazione perché è egli stesso incarnazione dell’eccesso apparentemente irrazionale, inspiegabile, che si autoalimenta e si autogenera nella sua follia.

Tratto dall’omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald – che non ho letto, vergogna a me, dovrò colmare al più presto la lacuna – Il grande Gatsby racconta, per bocca di uno dei protagonisti, Nick Carraway (Tobey Maguire, che ha irrimediabilmente le phisique du role per i ruoli da sfigato come Swarzenegger ce l’ha per quelli da macho picchiatutti), la storia di quest’uomo potente e misterioso che nella New York del jazz, dell’alcool e dei gangsters – il tutto avvolto in un’immancabile fitta nuvola di fumo di sigaretta – fa della sua immensa villa il centro della vita mondana di star, celebrità, uomini d’affari e gente comune e alimenta intorno a sé le leggende più disparate sull’origine della sua immensa ricchezza.

Quando Nick – trasferitosi a New York, dove vive sua cugina Daisy con il marito – viene invitato ad una delle grandiose feste del suo eccentrico vicino di casa, comincia con lui una strana relazione di amicizia, dipendenza, conoscenza distorta e mezze verità che andranno chiarendosi, di versione in versione, solo alla fine di tutto.

Intorno e tra di loro Daisy, la bella e brava Carey Mulligan, che risulta particolarmente adatta alla parte, il marito di lei (Joel Edgerton) e la bellissima Jordan (Elizabeth Debicki) della quale dovrò approfondire il ruolo nel libro perché qui oltre ad essere appunto bellissima, non fa poi molto altro (ma perché mi chiedo).

Di Caprio regala quella che, se non è la sua miglior interpretazione in assoluto, poco ci manca (per me in cima a tutto rimane sempre il suo Howard Hughes di Aviator). E’ di una bravura che lascia senza fiato. Tutta la scena a casa di Nick (tanto per fare un esempio) è veramente magistrale. Interpreta alla perfezione l’anima del film e riesce ad essere sempre e comunque così convincente da non permetterti di non amare in qualche modo il suo personaggio.

Visivamente, esteticamente potente e bellissimo, Il grande Gatsby ti trasporta in una realtà leggermente sfasata rispetto a quello che dovrebbe essere, contaminata da elementi estranei ma non in modo tale da intaccarne la credibilità. La plausibilità. E la desiderabilità.

E la contaminazione – che tanto piace a Baz e che è un po’ il suo marchio di fabbrica – c’è, prepotente e sfacciata, nei vestiti incredibili che sembrano esprimere tutta le potenzialità che quel periodo da solo non è riuscito a sfruttare; nella musica (anche se non al livello di MR), con l’organista folle e la colonna sonora rock e pop che si impone a sfidare gli anni del jazz per eccellenza.

A questo proposito mi piace moltissimo la versione di Love is Blindness di Jack White (The White Stripes). Amanti degli U2 uccidetemi pure. Resta il fatto che non è per una questione di voce. Bono è sempre Bono e va bene. E’ proprio un discorso di interpretazione. Questa versione così urlata e disperata non è per niente male – oltre che essere azzeccata per il film.

Mi fermo qui perché mi rendo conto che potrei parlarne ancora per ore.

Vedetelo. Anche in 3D che non ci sta male.

Cinematografo & Imdb.

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Varie ed eventuali del mercoledì.

I Sigur Ròs sono decisamente di quelle band che danno soddisfazione.

A poco più di un anno dall’uscita di Valtari, il 18 giugno uscirà un nuovo album, Kveikur. Un album all’anno, ragazzi, ci state viziando.

Oltretutto sono decisamente rimasta folgorata dal primo singolo. Musica, video (diretto da Andrew Huang), tutto. Fantastico. Diverso dagli ultimi lavori, è vero, ma veramente bellissimo.

Come se non bastasse, questi signori hanno anche un tumblr, che gli dei li conservino. Cosa si può volere di più?

Poi. Il 16 maggio uscirà questo.

E’ vero, è l’ennesimo remake di un testo famosissimo, ma è di Baz Luhrmann  che per me rappresenta già una garanzia – i suoi film possono piacere o non piacere ma di sicuro non sono mai banali.  Protagonista è Di Caprio, che ha già ampiamente dimostrato di essere molto portato per questi ruoli forti, solitari, in qualche modo contro tutti. Decisamente tra quelli che aspetto con maggior impazienza.

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