Jackie. Altresì noto come il MIO oscar come miglior attrice protagonista a Natalie Portman.
La regia di Pablo Larraín ricostruisce i giorni immediatamente successivi all’assassinio di Kennedy e lo fa attraverso le parole e i ricordi della vedova Jacqueline.
L’occasione di un’intervista privata costituisce la cornice entro la quale si alternano il racconto diretto e i flash back – non necessariamente consequenziali – che convergono sul momento – irraccontabile – dell’assassinio vissuto sul sedile della macchina presidenziale.
La storia è Storia, appunto, ed è nota a tutti.
Jackie Kennedy è famosissima e ogni sua espressione, ogni suo vestito, ogni sua scelta è stata osservata, giudicata e archiviata dall’opinione pubblica prima e dal tempo poi.
Eppure Larraín riesce a tirare le fila di un biopic al tempo stesso tradizionale ma, assolutamente non banale, entrando dentro alla persona e al personaggio di Jackie, lasciando emergere in modo quasi sconveniente il contrasto tra le due parti.
La Portman è superba e la regia ne è all’altezza, con la telecamera quasi sempre addosso a lei e una colonna sonora coerentemente soffocante e fisicamente attaccata al personaggio e alla sua sensazione di essere in trappola in un ruolo che, di colpo, ha cessato di esistere.
In particolare, ho trovato spiazzante il modo in cui viene trasmesso l’aspetto umano ed emotivo della vicenda. E’ come se nel tono razionale, saldo e consapevole con cui Jackie conduce il racconto e l’intervista, si aprissero, di colpo e senza preavviso, delle botole, collegate direttamente al nucleo spezzato dei suoi sentimenti. E’ come se nella storia si aprissero improvvisamente degli squarci attraverso i quali si scorge l’abisso di sofferenza in cui si trova sprofondata la vera Jackie, non il personaggio pubblico e politico ma la moglie che ha tenuto in grembo i pezzi della testa di suo marito.
Il biopic, soprattutto di personaggi così noti, oltre a non essere al top delle mie preferenze, può anche risultare un ambito insidioso. A maggior ragione trattandosi di un personaggio femminile, il rischio di scadere nel gossip (tipo quello proliferato intorno a Lady Diana, per capirci) e nel banale è più che concreto.
Larraín gestisce bene l’argomento e conclude un film di ottimo livello.
Accanto alla Portman – che comunque rimane il pilastro portante di tutta la struttura del film – anche Peter Sarsgaard e John Hurt, nel suo ultimo ruolo.