Virata trash?
Uh, mi mancava la tua critica costruttiva. Comunque no, perché?
Muccino…oltretutto il più piccolo…
Embé?
Devo davvero risponderti…?
Voce, sei proprio stronza.
Chi, io? Perché?
Non fare quella faccia innocente.
Non posso fare nessuna faccia, sono una Voce Fuori Campo.
Lo fai apposta perché sai benissimo che Muccino è uno di quegli argomenti per i quali mi sento sempre un po’ in dovere di giustificarmi.
Coda di paglia?
Mah…diciamo piuttosto…lucida consapevolezza di alcuni limiti e di alcuni fattori legati al contesto…suona meglio no?
Sei senza speranza.
Ma dai, c’è sempre Carla…
Ah, bè…
E c’è una bella intro di Vecchioni…
Sì sì…
Sei solo una vecchia bacucca piena di pregiudizi.
Puoi sempre provare a farmi ricredere.
Potresti anche provare a leggerti il libro.
No, no. Non ci sarebbe gusto a farti scrivere il post.
Cosa vuoi che ti dica?
Bè, ma ti è piaciuto?
Sì, mi è piaciuto. E’ simpatico, scorrevole, leggero.
Ok, non sarà questo capolavoro di originalità ma l’ho letto volentieri e ne sono rimasta contenta.
E comunque Silvio Muccino non se la cava male. Così come non se la cava male neanche come regista. E’ solo recitare che proprio non è il suo forte, ecco. E se poco senso avrebbe illudersi che non ci fosse, dietro le parti scritte da lui, la revisione della mano più esperta della sua socia, è anche vero che l’intero progetto non ha mai dimostrato di avere pretese tali da giustificare polemiche.
Ma fammi andare con un po’ di ordine.
Secondo esperimento a quattro mani con Carla Vangelista, collaboratrice fissa di Muccino Junior ormai da vecchia data…
Sì, e con disappunto del fratello, a quanto ho sent…
No, ti prego, il gossip no!
Noiosa.
Dicevo, secondo libro a quattro mani dopo Parlami d’amore – che non ho letto e che, con tutta la buona volontà, credo che continuerò a non leggere – ricalca lo stesso schema già collaudato della scrittura a voci alternate dei due protagonisti.
Qui l’alternanza è tra Sofia, adolescente negli anni Sessanta, e Matteo, adolescente alla fine degli anni Novanta. Ad unirli è il filo rosso dell’appartamento che entrambi hanno abitato. Sono le stesse stanze, le stesse mura che hanno assistito al quella fase critica di passaggio nelle loro esistenze. Insieme all’appartamento e ai luoghi – scenografia uguale e diversa di esperienze anch’esse uguali e diverse – c’è anche la figura di Daniele. Conoscenza casuale. Amico più vecchio e più saggio per entrambi. In qualche modo catalizzatore, metro di paragone esterno, aiuto involontario ma determinante per il compiersi di entrambe le rivoluzioni.
Parlare di giovinezza, e in particolare di adolescenza, non è mai semplice. Il cliché è in agguato, come sempre per quegli argomenti che tutti si sentono in dovere o – peggio – in grado di affrontare, sui quali si collezionano quintali di aspiranti rivelazioni, presunte verità ultime, mal dosate pillole di saggezza dagli effetti collaterali spesso devastanti.
Quello che rende gradevole questo libro è che non pontifica. Non ha, come dicevo prima, pretesa di rivelare chissà cosa. Racconta due storie, analoghe, parallele. E se forse in alcuni punti pecca un po’ di ingenuità, se magari alcune cose sembrano un po’ troppo come devono essere, è anche vero che l’adolescenza, per quanto piaccia un po’ a tutti mitizzarla o demonizzarla, è una fase dannatamente banale, quasi sempre prevedibile. Enorme quando la si vive, insulsa se si ha l’onestà di ripensarci senza raccontarsi palle. Il suo peso è schiacciante in ogni caso, per il suo venire costantemente sminuita, sottovalutata – perché alla fine è vero, si passa tutti di lì e nella maggior parte dei casi si fa tutti le stesse minchiate – proprio nel momento in cui avrebbe bisogno di essere amplificata. L’adolescenza è l’epoca dell’ego per eccellenza, perché nessuno ha mai sofferto quanto noi o perché nessuno è insignificante quanto noi. Poli opposti. Esigenze contrastanti. Cambiamenti. Crisi. Ed ecco il cliché bell’e servito.
Ma tant’è. Siamo molto meno originali di quanto ci piace pensare.
“Desiderio. Era il desiderio d’impazzire che mi spaventava. Era la voglia di impazzire. Perché se sei pazzo sei libero. Se sei pazzo non hai doveri o pressioni, non hai responsabilità. Se sei pazzo puoi dire ‘no’ senza sentirti in colpa, puoi svegliarti la mattina e fare tutto quello che la tua testa di dice di fare. Puoi urlare, puoi essere maleducato, mandare a quel paese chi non sopporti. Puoi pensare con la tua testa. Puoi essere felice, se lo vuoi. Essere pazzo, Matteo, ha un sacco di vantaggi.”
Senti, ma il titolo?
Ah già, brava, il titolo. Un po’ Revolution 9 dei Beatles – presentissimi, protagonisti a tutti gli effetti, in particolare Paul – un po’ l’Inno alla Gioia del caro vecchio Ludovico Van (Sinfonia n.9). Un po’ rivoluzione e basta, nello stile della nonna di Sofia – personaggio bellissimo.
Galleria di adulti ad incarnare gli esiti di rivoluzioni riuscite – Daniele – perennemente in atto, mai placate – la nonna di cui sopra – o miseramente fallite, tarpate, incompiute – la mamma di Matteo, il papà di Sofia, spauracchi e moniti di quello che potrebbe succedere tirandosi indietro.
Davvero, avevo anch’io le mie perplessità all’inizio, ma non è per niente male.
Resta da vedere se la Vangelista ha già pronta nel cassetto la sceneggiatura per tirarne fuori un film anche in questo caso o se Muccino si deciderà a rischiare qualcosa in più staccandosi da una formula dagli esiti bene o male garantiti.
Allora, Voce, lo leggi?
—–
Voce?
—–
Fa sempre così, non si può mica parlare con lei.
“A volte abbiamo bisogno di un boato, di un’esplosione, di una casa che crolla per svegliarci. Ma basta anche gare un atto diverso dal solito. Qualcosa che si opponga al trantran dei nostri pensieri e ci liberi dalla paralisi.”