La vera storia di Tami Oldham e Richard Sharp. La storia di una giovane coppia innamorata, unita dalla passione per il mare e dalla spinta a girare il mondo. La storia di un naufragio e di una deriva infinita.
La storia di una sopravvivenza contro ogni buon senso e ogni probabilità.
Per la regia di Baltasar Kormákur – del quale ho visto solo Everest (2015), buono e Contraband (2012), non un granché – Resta con me – titolo originale Adrift – che, manco a dirlo, ha decisamente più senso della traduzione italiana – poteva facilmente scadere nella banalità e invece, tutto sommato, si è rivelato meglio di quanto mi aspettassi.
Partendo dai momenti immediatamente successivi alla tempesta che ha distrutto la loro barca, si ripercorrono le vicende di Tami e Richard in un’alternanza tra passato e presente che si stringe fino a convergere nel finale forse non del tutto inaspettato ma non per questo meno notevole, dal momento che non è inventato.
Buone le interpretazioni di Shailene Woodley – a quanto leggo nota per la serie Divergent della quale però ignoro praticamente tutto se non che c’è una serie Divergent di libri e film – e di Sam Claflin – che, vedo dalla filmografia, ha fatto un sacco di film che ho visto ma che non ho riconosciuto neanche vagamente.
Un buon ritmo, veloce ma senza strafare. Non troppi effetti – la tempesta è angosciante, anche se si sa che le fanno in una piscina – e non troppi eroismi. L’altalena di flashback è un espediente certo non originalissimo ma che comunque qui funziona bene e aiuta a mantenere il filo della tensione meglio di una narrazione lineare.
Alla base c’è il libro Sky in Mourning: The True Story of Love, Loss, and Survival at Sea, della stessa Tami Oldham.
Il film è stato girato quasi interamente alle isole Fiji e le riprese – tempesta a parte – sono state effettuate per il 90% in mare aperto, con buona pace di tutta la troupe e degli attacchi collettivi di mal di mare.
Non eccezionale ma interessante.
La carta, lo schermo, la parola, lo sguardo 