Sinceramente, quando ho visto il trailer ero contenta di questa trasposizione ma ero anche abbastanza preoccupata che venisse fuori un gran casino per vari motivi.
Primo fra tutti, il fatto che Il paradiso degli Orchi di Pennac è una sorta di istituzione, di pilastro, sia nell’ambito della produzione dell’autore, sia, più in generale, nel panorama letterario contemporaneo. E’ uno di quei libri unici, geniali, per certi versi epocali e quando ci si avvicina a testi del genere il rischio di far danno è altissimo.
E poi, altra mia causa di cruccio, era il fatto che è obiettivamente un libro difficile da portare sullo schermo. Non tanto per la complessità della trama – non è che sia lungo chissà quanto o più intricato di un thriller ben congegnato – quanto piuttosto per la forte componente surreale e la connotazione estremamente articolata dei personaggi.
Il trailer sembrava buttarla molto sul comico e, se da un lato è bene che venga valorizzata la parte divertente, d’altro canto ci va anche pochissimo a scadere nel grottesco.
Anyway. Alla fine il film mi è piaciuto. E mi è piaciuto anche il modo in cui il regista ha scelto di aggirare questi ostacoli principali.
Se si vuol fare un’analisi rigorosa in termini di fedeltà alla trama e ai personaggi del testo, il film di Bary si discosta di chilometri dal libro di Pennac. La vicenda è stata modificata, i personaggi snelliti e ridotti, molti elementi di contorno – così caratteristici del libro – sono stati eliminati.
Però. Quello che ho apprezzato è la sostanziale fedeltà allo spirito di Pennac. Che suppongo possa essere anche alla base dell’accoglienza favorevole da parte dell’autore stesso.
La capacità di trattare temi serissimi e anche terribili (sparizioni di bambini, esplosioni, morti) pur mantenendo un tono leggero. Di riuscire a raccontare una vicenda crudele attraverso il filtro del mondo incredibilmente dolce, surreale e divertente della famiglia Malaussène.
In questo, il film è effettivamente il Paradiso degli Orchi. E trovo che questo sia un tratto ancora più determinante della mera attinenza di trama o di personaggi, soprattutto in un caso in cui un eccessivo tentativo di fedeltà avrebbe forse, paradossalmente, avuto l’effetto di snaturare maggiormente l’opera.
Nella maggior parte dei casi di trasposizione, i cambiamenti vengono operati in base a logiche di realizzabilità, a canoni pratici legati al differente mezzo di rappresentazione. Più raramente si trovano modifiche volte a privilegiare, come in questo caso, lo spirito del romanzo ed è un operazione tutt’altro che semplice o scontata.
Ritmo veloce e incalzante, scenografie bellissime, momenti divertenti senza essere eccessivi, ottimo il cast, con Raphaël Personnaz particolarmente adatto nei panni di Bejamin. Anche Bérénice Bejo è molto brava nel ruolo di una zia Julia sicuramente meno complessa della sua originale letteraria ma comunque accattivante. C’è anche Emir Kusturica in un ruolo non centralissimo ma importante.
Poi, non so, sarà che ultimamente ne avevo sentito parlare talmente male che probabilmente mi aspettavo una catastrofe, però nel complesso l’ho trovato assolutamente gradevole.