Uscito nelle sale a gennaio di quest’anno, The Commuter mi aveva incuriosito parecchio per diverse ragioni, prima fra tutte il cast – al di là del buon Liam Neeson, c’è Vera Farmiga, che adoro, e il fatto di rivedere il caro vecchio Mike Ehrmantraut Johnatan Banks non mi dispiaceva.
E poi di Jaume Collet-Serra avevo visto da poco Orphan che era decisamente ben fatto e questo mi ha subito ben disposta.
Forse avrei dovuto ricordare che Jaume Collet-Serra è anche il regista di Maschera di Cera, quello del 2005 con Paris Hilton.
Ma poi avrei ribattuto che suoi sono anche Unknown – Senza identità (2011) e Run All Night (2015) che in fin dei conti non erano malaccio.
E quindi sì, ci sta che mi aspettassi qualcosetta in più.
Liam Neeson è Michael McCauley, impiegato ormai prossimo alla pensione che conduce la sua vita da pendolare. Una routine tra il rassicurante e l’alienante. Una quotidianità di lavoro e famiglia che sembra lasciare ben poco spazio agli imprevisti. E in fin dei conti è anche per questa tranquillità che dieci anni prima Michael si è ritirato dalla polizia.
Tutti i giorni lo stesso percorso. Lo stesso treno. Le stesse facce.
Niente di nuovo per chiunque conduca una vita analoga.
Finché un giorno tutto si ribalta.
E mentre si trova sul treno di ritorno a casa Michael – già reduce da una giornata quanto meno insolita – a voler usare un eufemismo per non spoilerare troppo – viene avvicinato da una sedicente psicologa (Vera Farmiga) che lo coinvolge in quello che in apparenza dovrebbe essere solo un test comportamentale o poco più.
Peccato che l’incarico che la donna gli affida si riveli terribilmente serio e altrettanto pericoloso e inchiodi Michael a quel treno apparentemente senza via d’uscita.
L’idea di partenza è abbastanza pretestuosa ma anche abbastanza neutra per poter avere potenzialità sia in positivo che in negativo.
Peccato che tutto ciò su cui hanno basato il trailer per rendere intrigante la vicenda si esaurisca in ben poco tempo. La stessa Vera Farmiga ha una parte molto piccola. Dopo di che rimane Liam Neeson da solo che, per quanto bravo, non basta a risollevare un copione che zoppica e non ha abbastanza forza per generare la tensione necessaria.
Di fatto siamo in un ambiente chiuso con elementi e persone limitate. C’è qualcuno da trovare e un limite di tempo – quello della corsa – da rispettare. Si crea una situazione un po’ da Orient Express, ma proprio alla lontana.
Il ritmo è fiacco e i collegamenti logici non sono proprio in forma smagliante. Oltre ad essere fastidiosa, all’inizio, l’insistenza sul fatto che sono dieci anni che Michael fa il pendolare – cosa ripetuta con un’enfasi esagerata, manco fossero vent’anni che va avanti e indietro da Chernobyl.
Insomma, il tutto un po’ disomogeneo e un po’ tirato via, con un risultato finale che non convince.
Per carità, si guarda eh. Ma si dimentica anche piuttosto in fretta.