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Archive for the ‘C. Theron’ Category

Marlo (Charlize Theron) è madre di due figli con un terzo in arrivo. E’ ormai quasi alla fine della gravidanza e comincia ad essere davvero affaticata.

Porta avanti una routine domestica non semplicissima e lo fa quasi da sola perché Drew, suo marito, è sempre molto preso con il lavoro e poi, sì, fa il papà come la cultura occidentale media si aspetta che un uomo faccia il padre, ai margini, nei ritagli di tempo.

Dopo la nascita del terzo figlio, una bambina, la situazione di Marlo precipita e lei è davvero a terra.

Suo fratello – ricco e un po’ eccentrico – le suggerisce l’idea di prendere una tata notturna. Una tata che si occupi di vegliare la bimba appena nata durante la notte, svegliando Marlo proprio solo per l’allattamento.

Marlo dapprima è scettica, poi si fa convincere e si decide a chiamare.

E così una sera arriva Tully.

Tully che è giovane, bella, magra e piena di energie.

Tully che è bravissima con la bambina e altrettanto brava con la mamma.

Tully che aiuta Marlo in tutto, permettendole di riposare di notte e di godersi di più il tempo con i suoi figli di giorno.

Tully che sviluppa con Marlo un rapporto particolarmente intenso e diretto.

Per la terza volta insieme dopo Juno (2007) e Young Adult (sempre con Charlize, 2011)  Jason Reitman alla regia e Diablo Cody alla sceneggiatura riproducono ancora una volta la loro magia e danno vita ad una commedia un po’ agrodolce, intelligente e perfettamente equilibrata.

La realtà è che quando vedo che c’è di mezzo Diablo Cody ho sempre anche un po’ paura. Perché è impietosa, quasi chirurgica, nella sua capacità di centrare il punto. Perché ricostruisce e restituisce pezzi di vita con una lucidità che non lascia spazio per niente che non sia prendere atto di una verità.

Perché ha quel modo tutto suo di mettere a nudo il non detto, di scoprire i nodi dolenti delle bugie che raccontiamo prima di tutto a noi stessi.

E così qui non ha paura di infrangere il tabù delle gioie della maternità e mette in luce tutto il lato oscuro della fatica fisica e mentale, del sacrificio (annullamento) di sé, della crisi di identità e di quella cosa che viene perlopiù trattata come un parente scomodo e di cui vergognarsi che è la depressione post-partum (e che proprio perché tendenzialmente ignorata non viene neanche curata).

E non per demonizzare o condannare alcunché – che sarebbe gioco fin troppo ovvio e scontato. E’ più che altro per dare, per così dire, il quadro completo. Completo delle contraddizioni apparentemente inconciliabili che costituiscono l’essenza stessa delle più profonde esperienze umane.

Una commedia dolorosa e bellissima, delicata ma profondamente onesta.

Una Charlize perfetta come sempre, qui ingrassata di oltre 20 chili per la parte, dal volto segnato e intenso. Nominata ai Globes come miglior attrice.

Brava anche Mackenzie Davis nei panni di Tully.

Molto consigliato.

Cinematografo & Imdb.

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Tratto dalla graphic novel The Coldest City scritta da Antony Johnston ed illustrata da Sam Hart.

In uscita il 17 agosto. Mi ispira tantissimo.

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Un po’ prequel e un po’ sequel di Biancaneve e il Cacciatore del 2012.

Ovvero, ogni scusa è buona per godersi ancora una po’ di Charlize Theron in versione Regina Cattiva.

Si comincia prima dei fatti di Biancaneve e si racconta di come Ravenna (Charlize Theron), già crudele e usurpatrice grazie al potere dello Specchio, avesse una sorella, Freya (Emily Blunt), mite, non ambiziosa e innamorata.

La principessa, a causa di un crudele tradimento si ritrova però con il cuore irrimediabilmente spezzato e poiché un cuore infranto è il catalizzatore più potente per il manifestarsi di poteri sopiti, Freya scopre di possedere il potere del freddo e del ghiaccio.

Lascia sua sorella e si rifugia a Nord, dove regna su una terra gelida, strappa i figli del suo popolo e li alleva senza amore e senza legami. Un esercito imbattibile e libero dai sentimenti.

Tra questi giovani combattenti ci sono Sara (Jessica Chastain), imbattibile con arco e frecce, e Eric (Chris Hemsworth), futuro Cacciatore.

Sara e Eric ovviamente si innamorano, infrangendo così le leggi della Regina di Ghiaccio e causandone l’ira.

Vengono separati, Eric riesce a fuggire, diventa il Cacciatore ed è in questo lasso di tempo che hanno luogo gli avvenimenti di Biancaneve – che per fortuna viene solo menzionata e ripresa brevemente solo di spalle, dal momento che, evidentemente, anche alla Universal non hanno piacere di ricordare l’infelice scelta di Kirsten Stewart.

Si salta direttamente al dopo, con Ravenna teoricamente sconfitta ma lo Specchio che emana malvagità e crea problemi.

Biancaneve decide di spostare lo Specchio in un posto sicuro ma i soldati cui viene affidato non giungono a destinazione.

Serve di nuovo l’aiuto del Cacciatore. Anche perché nel frattempo Freya ha saputo che lo Specchio è in circolazione e, se se ne impossessasse lei, sarebbe inverno per sempre e dovunque.

Comincia la caccia, saltano fuori nuovi personaggi e, ovviamente, salta fuori di nuovo anche Sara.

Un po’ di malintesi da chiarire e mostri di vario genere da affrontare, fino allo scontro finale che però è su tre fronti perché ovviamente ritorna in gioco anche Ravenna.

A raccontarlo sembra tutto parecchio incasinato ma di fatto il ritmo veloce fa sì che la trama scorra bene e non si perda nelle molteplici deviazioni.

Il livello generale è quello che ci si aspetta. Azione, divertimento, ottimi effetti visivi. Niente di particolarmente originale ma comunque un prodotto di intrattenimento di tutto rispetto e, in ogni caso, la bravura di tutti gli attori compensa ampiamente la mancanza di originalità.

Costumi e trucchi bellissimi, in particolare, ovviamente, quelli di Charlize che è perfetta anche quando perde bave nere e urla imbestialita.

Carini i personaggi dei nani. Anzi no. Più che carini sono piuttosto irritanti, ma è divertente il fatto che siano parecchio sboccati, il che costituisce una nota insolita per un tipo di film a target tipicamente disneyano.

La Regina di Ghiaccio è visivamente molto bella e Emily Blunt è anche molto adatta alla parte. Avrebbero potuto sfruttare un po’ di più il personaggio e creare qualche effetto un po’ più scenografico anche per il suo potere.

E niente, se piace il genere, non è male.

Di fatto è in tono con il precedente capitolo con l’eliminazione del principale difetto che era Kirsten Stewart.

Cinematografo & Imdb.

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Oddio ma ti sembra il caso?

Frances! A cosa devo il dubbio piacere della tua ricomparsa?

Senti, io provo a farmi i fatti miei e a lasciarti esprimere ma, seriamente, non puoi continuare a guardare cagate del genere…

Ci sono Charlize Theron e Jessica Chastain.

Oltretutto sapendo che sarà l’ennesima cosa fatta con lo stampino, molto bella da vedere ma probabilmente vuota…

Ci sono Charlize Theron e Jessica Chastain.

E come se non bastasse c’è pure quel bellimbusto di Thor in versione bruna…

Ci sono Charlize Theron e Jessica Chastain.

Ok, ci rinuncio, torno nella mia scatola. Quando esce?

Ci sono Charlize Theron e Jessica Chastain.

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Mad Max Fury Road è una figata colossale.

Adesso elaboro anche qualche considerazione più articolata ma il succo rimane lo stesso.

George Miller, forte del fatto di andare a rovistare in casa propria, non si fa scrupoli a stravolgere completamente la saga originale, tenere giusto gli spunti che gli servono e mettere su uno spettacolo nuovo di zecca.

Dalla vecchia serie c’è Max e c’è un futuro distopico postnucleare fatto di desolazione, abbrutimento e violenza ma per il resto non rimane molto altro. L’Interceptor c’è giusto all’inizio, quasi una citazione, e poi sì, viene reso omaggio al V8, venerato come un oggetto di culto ma poi si va in tutt’altra direzione.

La vera protagonista è l’Imperatrice Furiosa, ossia Charlize Theron senza un braccio, rasata e sporca che spacca il culo a tutti alla guida di un’autocisterna. E che per quel che mi riguarda rimane comunque più gnocca di tutte le altre fanciulle palesemente inserite nella trama proprio per la loro gnocchitudine.

Max finisce ad essere più una sorta di personaggio secondario che affianca Furiosa perché casualmente si trovano a scappare dallo stesso nemico.

Ad inseguirli è Immortan Joe con i suoi eserciti di folli invasati. E’ parecchio incazzato perché Furiosa sta scappando con le sue mogli. Donne bellissime ma soprattutto sane. Unica possibilità, in un mondo malato e deforme, di dare alla luce figli sani e per questo tenute prigioniere e collezionate come oggetti da Joe.

Fury Road è azione pura. Una volta date le linee guida della trama non ci si ricama poi molto sopra: dialoghi ridotti all’osso – onestamente penso che il copione debba esser stato veramente breve, Tom Hardy-Max la maggior parte delle volte grugnisce – qui ci sono i buoni, qui i cattivi, apriamo i cancelli e vediamo chi riesce a raggiungere chi, vediamo chi picchia più forte.

E’ un film costantemente in fuga. Un’esibizione da circo macabro di acrobazie spettacolari, mezzi assurdi, esplosioni. Ti lascia senza fiato dall’inizio alla fine.

Visivamente caotico e grandioso. Violento ma non splatter. Disturbante piuttosto, nell’estetica deforme di un umanità disumanizzata e resa mostruosa dentro e fuori. Scorretto, nell’ostentazione della regressione animalesca del comportamento.

Bellissimo, proprio per questo suo essere troppo ed esserlo in modo impeccabile, perfetto in tutto.

Tom Hardy non mi piace particolarmente ma va bene per la parte perché non deve neanche essere carismatico.

Apprezzabile il fatto che ci abbiano risparmiato il solito casuale folle innamoramento tra eroe e eroina. Non c’è neanche un po’ di flirt tra Max e Furiosa. Ostilità, collaborazione, fiducia. Fine della storia.

Bello il personaggio di Nux.

Piccola parte anche per Megan Gale che ha fatto sì che mi ricordassi della sua esistenza che peraltro avevo completamente rimosso.

Ho deciso che il chitarrista folle mascherato con la chitarra che spara fuoco è Matt Bellamy ma non ho le prove per dimostrarlo. Bisogna aspettare di vedere come si concia e cosa combina nel prossimo tour.

Bon, vado che qui si vira sul demenziale.

Ripeto. Una figata.

Vedetevelo che merita.

Cinematografo & Imdb.

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Non ho ancora deciso se mi è piaciuto o no, questo tanto chiacchierato Young Adult. Di sicuro quando l’hanno passato in televisione non ho avuto dubbi sul fatto di volerlo vedere perché già mi era spiaciuto perdermelo al tempo dell’uscita in sala, però non sapevo bene cosa aspettarmi.

Ero più che altro curiosa. Un po’ anche perché mi è sempre sembrato che ci fosse una certa sproporzione tra la quantità di elucubrazioni che si sono spese al riguardo e la natura del film che pareva essere soltanto una commedia in stile college-20 anni dopo.

A monte va detto che io ho una conoscenza piuttosto lacunosa di Reitman. Ho trovato geniale Thank You for Smoking e ho amato anche molto quella cosa crudele e divertente allo stesso tempo che è Tra le nuvole. Però non ho visto nient’altro di suo. E non ho visto Juno. Il che significa che mi manca anche un parametro di valutazione per inquadrare la collaborazione con Diablo Cody, ideatrice del soggetto e sceneggiatrice sia per Juno che per Young Adult.

Anyway.

Mavis Gary è una ghost writer per una collana di libri – Young Adult appunto – che ha avuto successo per un po’ ma che ormai è arrivata al capolinea. E’ separata, discretamente benestante, estremamente gnocca e, a trent’anni conduce orgogliosamente un’esistenza priva di vincoli o limiti di altro genere. Un giorno riceve un’e-mail con la quale viene a sapere che Buddy Slade, suo ex fidanzato del liceo, è diventato padre e lei, di punto in bianco, decide di ritornare nel paesino d’origine per riconquistarlo.

Ora, le premesse potrebbero essere quelle di una commediola più o meno sentimentale e più o meno densa di equivoci.

La realtà è che quella che prende forma è una vicenda di rara amarezza. Con Mavis che continua a cacciarsi in situazioni una più imbarazzante dell’altra, fissata oltre ogni ragionevolezza su un obiettivo che, si capisce fin da subito, non è neanche minimamente realizzabile.

Mavis è bella, quello sì. Arriva dalla grande città carica della sua spocchia, convinta di essere l’unica a saper vivere e completamente calata nel suo ruolo di “salvatrice” nei confronti di Buddy che lei si ostina a credere intrappolato nella banalità di una vita coniugale, ma che in realtà è solo felicemente sposato e felicemente padre. Mavis tratta tutti dall’alto in basso, anche la sua stessa famiglia. Cerca di ripercorrere le tappe della sua relazione con Buddy, di ricreare le stesse situazioni, le stesse atmosfere, con l’unico risultato di ridicolizzarsi in un patetico tentativo di riportare indietro un tempo che sembra essere andato avanti per tutti, tranne che per lei.

Mavis si crede più avanti di tutti quei poveri sfigati rimasti al paesino, con le loro vite tristi e banali. Ma l’unica a non essersi mossa è lei, congelata nel ricordo di una presunta felicità che le è sfuggita di mano e che non ha saputo in alcun modo ritrovare. Con il suo bagaglio di insoddisfazioni, frustrazioni, fallimenti e un vuoto esistenziale che dà le vertigini sotto gli abiti firmati e gli atteggiamenti da io-spacco-il-culo-al-mondo.

Al fianco di Mavis c’è Matt, un altro compagno di liceo, con il quale si instaura uno strano legame e che cerca in tutti i modi di aprirle gli occhi.

YA è un film di una desolazione totale. Non resta niente. Non si salva niente. Se non quello che non aveva, già in partenza, alcun bisogno di essere salvato.

E’ la condanna di una generazione di mezzo. Persa tra la fretta di essere realizzati e l’illusione di poter sempre scegliere che cosa diventare. Come se il tempo non scadesse, come se non ci fosse un punto di non ritorno.

Il film è fatto bene, su questo non ci piove e non è nemmeno lontanamente una banale commediola.

A lasciarmi perplessa è proprio il personaggio di Mavis. Charlize Theron è bravissima ed è, se possibile, di una bellezza ancor più disarmante del solito, però, ecco, il suo personaggio è talmente calcato che in certi momenti mi è venuto il dubbio che stesse in piedi proprio solo per la sua figaggine estrema.

Mavis è un personaggio totalmente anti-empatico. E’ una stronza, egoista, spocchiosa. Non c’è niente che ti ispiri simpatia in lei. E oltretutto è anche una stronza stupida. Però si finisce comunque per provare una sorta di distorta empatia per le sue vicissitudini, perché è comunque troppo bella. Perché attrae.

Immagino che questo contrasto sia stato cercato, però non nascondo che mi ha trasmesso per tutto il tempo una sensazione di forzatura che mi ha un po’ infastidita.

Cinematografo & Imdb.

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Ho già avuto modo di esprimerlo qui sopra, la fantascienza non è esattamente il mio genere. Ogni tanto ci riprovo, ma difficilmente ne esco entusiasta, anche dove riconosco un lavoro ben fatto.

Prometheus è partito male fin dall’inizio. Il trailer poteva anche sembrare intrigante ma il fatto che Ridley Scott si fosse di nuovo messo a ravanare in tematiche spaziali equivaleva a mettere un manifesto grande come una casa con su scritto “non ho più idee”.

Oltretutto non penso di aver letto neanche una critica positiva a questo film ed è stato pochissimo nelle sale, motivi per cui alla fine me l’ero perso.

Recuperato in dvd – rigorosamente in offerta – continuo a chiedermi cosa possa spingere un regista affermato e che, diciamolo, non ha poi così bisogno di soldi, a cedere all’irrefrenabile impulso di sputtanarsi.

Prometheus è effettivamente una cagata bella e buona.

Sì, qualche idea carina ce l’ha, e qualche ammiccamento ad Alien, seppur vergognosamente facile, si coglie sempre volentieri. Però non ci sono elementi neanche lontanamente sufficienti a salvarlo.

Trama debole, piena di incongruenze. Personaggi che agiscono in modo pretestuoso solo per arrivare a creare situazioni che si annunciano lontano chilometri – i due tizi della prima spedizione che, di punto in bianco, decidono di andarsene senza una motivazione che sia realmente credibile e che, come se non bastasse, si perdono pure come se fossero turisti in gita parrocchiale rappresenta veramente uno dei primi picchi di idiozia.

A superare tale vetta arriva però prontamente la scena del cesareo di Noomi Rapace che, ovviamente, porta in grembo una creatura aliena e ha comprensibilmente fretta di sbarazzarsene.

L’astronave è dotata di una capsula medica totalmente automatizzata e programmata per eseguire qualsiasi tipo di intervento, e fin qui l’idea poteva essere anche carina, se non proprio originale. Noomi ovviamente la punta per il suo scopo, peccato che il tutto si svolga praticamente in corsa e non è una cosa detta così per dire. Con lei inseguita da chi vuole che la gravidanza continui che si fionda precipitosamente dentro la capsula, dove le operazioni di sterilizzazione, anestesia e tutto il repertorio hanno l’accuratezza di un autolavaggio e dove lei nel giro di pochi minuti si fa fare un taglio lungo tutta la pancia, si fa estrarre la creatura, ci lotta, scongiura un malfunzionamento della macchina, si fa ricucire con le graffette di una pinzatrice da tavolo, esce dalla capsula e, debitamente ricoperta di sangue e liquami alieni, si mette a correre in giro per l’astronave.

Ora, il sottotitolo della scena potrebbe anche essere “come buttare via il maggior numero di spunti possibili in un colpo solo”. Non che avesse le potenzialità del capolavoro in ogni caso, però un po’ meglio poteva giocarsela. Penso sia in assoluto la scena peggiore del film e una delle scene peggiori nella categoria. Con rammarico per la povera Noomi che mi sta anche simpatica.

Charlize Theron è la cattivissima di turno e non ne parlo male solo perché è gnocca. Michael Fassbender nei panni del robot regala l’unica interpretazione degna di nota del film, mentre Guy Pearce è ampiamente sprecato come tutto il resto.

Finale incasinato e arbitrario, che vanifica qualsiasi pretesa di suspense (e di logica) delle premesse iniziali.

Alieni già visti e rivisti, più che un omaggio – del quale in ogni caso non si sentiva il bisogno – una triste scimmiottatura.

Bocciato su tutta la linea.

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Noomi Rapace in Ridley Scott's Prometheus

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Tecnicamente è già lunedì ma dal momento che son le due di notte non riesco ancora a dire nulla sulla cerimonia degli Oscar che si sta svolgendo in questo momento – per ora ho solo qualche scorcio di red carpet con Quevenzhane Wallis vestita di blu e accompagnata da un cane di peluche, ma niente di più. Se riesco, seguirà aggiornamento durante la giornata, altrimenti domani resoconto completo dei vincitori.

Gambit. Come già anticipavo qualche settimana fa, remake dell’omonimo film del 1966, diretto da Michael Hoffman e sceneggiato dai fratelli Coen.

Londra. Un curatore di mostre (Colin Firth) dalle ottime capacità e dal grande amore per l’arte, vessato e umiliato dal suo datore di lavoro ricco, arrogante e spocchioso (Alan Rickman). Una cowgirl spennatrice di polli (Cameron Diaz). Un Maggiore in pensione dedito alla pittura. Una roulotte. Claude Monet e i suoi Pagliai. Un altro curatore di mostre dall’atteggiamento eccentrico (Stanley Tucci). Ah, già, dimenticavo. Un leone e qualche giapponese.

A questi ingredienti si aggiunga la summenzionata sceneggiatura dei fratelli Coen.

Si mescoli il tutto con una buona dose di umorismo se non proprio inglese quanto meno molto British-style e si ottiene una commedia gradevole e simpatica, dall’impostazione molto classica e dai tratti a volte persino un po’ retrò.

Basata fondamentalmente sullo schema della truffa da organizzare e mettere in atto, apre in diversi momenti alla commedia degli equivoci – la scena dell’albergo è spassosissima – con qualche ammiccamento all’aspetto sentimentale – senza però, per fortuna, indulgervi eccessivamente.

Colin Firth si dimostra ancora una volta attore estremamente adattabile alle parti più diverse, divertente e molto credibile nel ruolo, con quella sua espressione di chi non ha ancora capito bene dove si trova.

Cameron Diaz fa la matta ed è bella – forse persino un po’ troppo per il suo personaggio, ma non facciamo i pignoli – e brava.

Alan Rickman è assolutamente impagabile. I ruoli antipatici gli riescono sempre che è una meraviglia, con il suo repertorio di  espressioni più significative di qualsiasi copione.

E c’è anche Stanley Tucci, nei panni di un personaggio che si intuisce essere simpatico ma che in verità è discretamente massacrato da un doppiaggio eccessivamente caricaturale.

E’ un film divertente e leggero, senza grosse pretese ma con uno stile delicato, una trama che funziona e una struttura ben costruita.

I fratelli Coen si intuiscono nell’impostazione, anche se la loro impronta non è così dichiarata, non essendo loro alla regia.

Ho letto critiche che lo definiscono per certi versi superiore all’originale perchè più ironico e più dinamico. Sarei curiosa di recuperarmelo.

Cinematografo & Imdb.

E in attesa dei risultati, qualche sbirciata sul red carpet.

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Qualche settimana fa mi sono ritrovata a parlare di quest’accoppiata libro-film. Film che tra l’altro ho rivisto anche di recente per la terza volta (sì, sono una quelli che adorano vedere e rivedere i film per molte volte – evito di portare dei dati numerici per non sputtanarmi del tutto).

Il libro. Cormac McCarthy 2006.

Il senso di desolazione che trasmette è totale. Senza soffermarsi minimamente in racconti di distruzione su larga scala, siamo catapultati direttamente in uno scenario post-catastrofe. E questo è già il primo punto a favore. Nell’epoca che celebra l’estetica del cataclisma il fatto che esso venga relegato al ruolo di antefatto è cosa gradita.

Un uomo e un bambino, un padre e un figlio colti in uno squarcio della loro quotidiana sopravvivenza in un mondo ormai morto e vuoto. Un mondo senza colori, senza calore, ridotto in cenere. Un mondo nel quale se davvero fossero gli ultimi esseri viventi rimasti sarebbe già una fortuna ma nel quale, oltre a tutto il resto, devono pure sfuggire a bande di sopravvissuti ormai dediti al cannibalismo. E’ davvero tutto distrutto. Non solo la Terra. Anche l’Uomo. Nonostante il padre cerchi ancora di trasmettere al figlio un barlume di ciò che è stato. Nonostante, di fatto, non si rassegni ad arrendersi. Anche se forse ormai è solo più l’inerzia a mandarlo avanti.

Si arriva alla fine con un senso di spossatezza infinita.

Il film. John Hillcoat 2009. Anche se di fatto è arrivato nelle sale nel 2010.

Una trasposizione pressoché letterale. Tanto che può quasi definirsi una lettura per immagini. Non aggiunge e non toglie niente al libro ma lo esprime alla perfezione con tutta la potenza emotiva che trasmette il mezzo visivo.

La rappresentazione della Terra è esattamente quella che deve essere, senza eccessi hollywoodiani. Viggo Mortensen è davvero bravo nell’interpretare un ruolo solitario e struggente senza mai diventare patetico o troppo esplicitamente drammatico. C’è anche Charlize Theron, nel ruolo secondario dei flash back che servono a darci qualche elemento in più sul protagonista ma (per fortuna) si trattengono dal cercare di spiegare quello che di fatto non ha importanza spiegare, ossia le origini del disastro.

E c’è un finale, con il breve ruolo di Guy Pearce, che tutti si ostinano ad interpretare univocamente mentre mi sembra palese che sia fatto apposta per essere ambiguo.

E’ un peccato che questo film per qualche questione legale/burocratica a livello di post-produzione sia stato prima bloccato, poi distribuito in tutta fretta, quasi senza alcun lancio pubblicitario e tolto quasi subito dalle sale.

Da leggere e da vedere.

Cinematografo & Imdb.

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A dirla tutta, l’idea di una Biancaneve in versione epic-fantasy un po’ mi disturbava e mi disturba tuttora – non so, certe fiabe secondo me sono troppo radicate per accogliere rivisitazioni che le stravolgano eccessivamente; avrei trovato forse più interessante una versione che ritornasse all’originale dei fratelli Grimm prima dell’addolcimento disneyano ma il problema dei fratelli Grimm è il grottesco che sullo schermo rischia di diventare ridicolo o comunque, nel migliore dei casi, non rende.

Premessa a parte, il film è comunque tranquillamente apprezzabile. E’ fatto bene e il ritmo è buono pur risultando persino un po’ scolastico dal momento che ormai, da un punto di vista visivo, se si parla di fantasy si parla di Signore degli Anelli.

Charlize Theron è splendida nel ruolo della Regina e io dopo tre minuti di film continuavo a pensare alla scena di Io e Annie in cui Woody Allen, parlando di donne sbagliate, diceva che mentre tutti erano innamorati di Biancaneve lui si era subito innamorato della  Regina Cattiva. E qui, pur con tutta la buona volontà sfido chiunque a fare il tifo per Biancaneve.

Ecco, l’unica cosa veramente malriuscita del film è proprio la povera Biancaneve. Mica poco, se si pensa che dovrebbe essere la protagonista.

Kirsten Stewart – che ho poi appreso essere la Bella di Twilight – oltre a non essere sicuramente la più bella del reame (e secondo me manco arriva tra le prime 10) semplicemente non è capace a recitare. Ha sempre la stessa espressione e un pathos che induce narcolessia. Alla fine l’hanno pure cacciata dentro un’armatura che fa sì che non riesca neanche più a muoversi decorosamente ma barcolli qua e là tra le truppe all’assalto del castello. Ora, capisco che se ti hanno tenuto rinchiusa per vent’anni nella torre Nord non è che esci e sai guidare un esercito, però…! Oltretutto – soprattutto verso la fine – ho avuto la netta impressione di un copione tagliato col coltello per eliminare le sue battute e farla parlare il meno possibile – infatti parla pochissimo in tutto il film, cosa che, come si diceva, non è compensata dall’espressività.

Fortuna che Charlize predomina e che è la Regina Cattiva a fare da vera protagonista.

Cinematografo & Imdb.

 

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