Un pomeriggio stavamo ascoltando il notiziario di Radio Montecarlo, quando a un certo punto lo speaker disse – un po’ tra le righe, fra le curiosità, che in America era stato scoperto l’autore di un omicidio grazie agli insetti presenti nella stanza in cui si era consumato il delitto: le larve sul corpo della vittima, infatti, erano servite a stabilire il momento esatto del decesso. La notizia mi colpì molto, e rimase a dormire dentro la mia memoria in attesa di germogliare.
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Nel frattempo l’idea degli “insetti-detective” continuava a farmi visita: dopo aver sentito quella notizia alla radio avevo preso a documentarmi con sempre maggiore interesse, fino al giorno in cui m’imbattei negli studi del professor Marcel Leclercq – il vero pioniere dell’entomologia forense. Scoprii così che era davvero possibile utilizzare gli insetti per stabilire le cause di morte alla base di alcuni fatti di cronaca rimasti irrisolti. Ad esempio se si sigilla una stanza in cui è stato commesso un omicidio e si analizzano le forme di vita presenti nell’ambiente, è possibile capire se è stato esploso un colpo d’arma da fuoco (alcuni microrganismi muoiono in corrispondenza di un proiettile che attraversa l’aria), o se la vittima è stata avvelenata (il cadavere rilascia una serie di sostanze che intossicano un tipo particolare di insetti).
Phenomena è l’ottavo film di Dario Argento e per chi ne è un cauto estimatore e apprezza con riserva la sua produzione, si colloca in quel punto controverso della sua filmografia in cui molti identificano l’inizio della sua decadenza.
Nell’87 seguì Opera che, se è vero che ebbe comunque una notevole risonanza (e alcune sue scene fanno tuttora parte di un certo tipo di immaginario horror condiviso), è pur vero che a molti non piacque.
Con Phenomena si ritorna un po’ alle atmosfere di Suspiria, per il fatto che l’ambientazione è di nuovo un istituto femminile.
Protagonista una giovanissima e ancora sconosciuta Jennifer Connelly – al suo primo vero ruolo dopo la piccola parte in C’era una volta in America – che veste i panni di Jennifer Corvino, ricca figlia di un noto attore americano, abituata ad interagire con gli assistenti di suo padre e con il personale assegnatole più che con il padre stesso, riservata, un po’ solitaria, e dotata di una curiosa capacità di entrare in sintonia con gi insetti. Gli insetti non le fanno del male. Le vogliono bene. La sentono.
Nelle vallate circostanti il collegio, alcune ragazze sono misteriosamente scomparse. Finora sono state ritrovate solo parti di alcuni corpi.
Ad aiutare la polizia nelle indagini c’è un anziano entomologo paralitico (Donald Pleasence) che vive assistito da Inga, uno scimpanzè ammaestrato.
Lo scienziato analizza le larve e gli insetti presenti sui resti ritrovati per fornire ulteriori informazioni sulle possibili circostanze della morte (parte, questa, costruita in base alle teorie apprese da Argento nella sua fase di documentazione).
Per tutta una serie di circostanze – in cui anche l’elemento del sonnambulismo ha una parte rilevante – Jennifer entra in contatto con questo entomologo che, oltre a spiegarle la reale natura del suo legame con gli insetti, le chiederà di servirsene per aiutarlo a smascherare l’assassino.
Il 1984 fu l’anno delle mosche.
In un primo tempo, per le sequenze in cui era prevista la loro presenza, avevo pensato di ricorrere a degli insetti meccanici. Ma le prove che avevo visto non mi soddisfacevano affatto […]. Allora mi venne in aiuto Maurizio Garrone, che era stato fondamentale quando in Suspiria si era trattato di realizzare la famosa scena delle larve che cadono dal soffitto. Fu proprio lui, infatti, a mettersi in contatto con diversi entomologi e allevatori, e alla fine riuscì a procurarsi circa sei milioni di larve di mosca.
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Mi spiegarono che non era possibile esporre le mosche sotto i riflettori per più di pochi minuti: il calore sviluppato dalle luci avrebbe finito per bruciare i loro corpicini.
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Mi resi però ben presto conto di quanto fosse impossibile dare indicazioni sceniche a un insetto […].
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Soltanto in una scena ricorremmo a un trucco, rudimentale ma efficace: lo sciame che assale il collegio frequentato da Jennifer fu ottenuto versando del semplice caffè macinato in una grande vasca colma d’acqua. Il diffondersi della polvere di caffè nel liquido, e la successiva sovrapposizione in ralenti di questa ripresa alle immagini del collegio, simularono alla perfezione l’attacco degli insetti.
Nel complesso, non lo trovo tra i più spaventosi dei film di Argento, anche se la tensione c’è e molti elementi sono inquietanti. Più che altro è disturbante da un punto di vista strettamente visivo. Non c’è lo splatter sanguinolento di Suspira o di Tenebre – in cui prevalgono gli effetti da arma da taglio, per così dire – ma ci sono moltissimi dettagli di cadaveri in putrefazione. Gli insetti di per sé possono essere un elemento macabro. Personalmente non ho reazioni schifate per l’insetto o la mosca, ma le larve mi fanno piuttosto schifo e quindi tutti gli effetti dei pezzi di cadaveri brulicanti mi han sempre suscitato il sano ribrezzo da horror (molto più che non il mostro finale, per dire).
Famosissima a questo proposito – anche per chi non ha visto il film – è la scena in cui la povera Jennifer Connelly finisce (in modo non proprio strettamente logico, se vogliamo essere pignoli, ma vabbè) a sguazzare in una vasca di pezzi di cadaveri putrescenti – e che, per quanto eccessiva, ha il suo perché in termini di resa perché stai proprio fisicamente male per lei.
Per ricreare la vasca sotterranea che ribolle di cadaveri putrescenti, riempimmo una piscina colma d’acqua riscaldata con la vermiculite, un minerale che opportunamente trattato suggeriva l’idea di larve e lombrichi galleggianti. Oltre a qualche manichino – i resti umani – aggiungemmo all’intruglio yogurt, menta e cioccolato. Al di là dell’aspetto, dunque, per la protagonista starvi immersa non era poi tutta questa tortura.
Mah, se lo dice lui.
Personalmente credo che non sarei più riuscita ad avvicinarmi a nessuno dei tre alimenti per almeno un paio d’anni.
A curare gli effetti speciali compare per la prima volta Sergio Stivaletti, che collabora con Argento ancora oggi.
Nel cast anche Daria Nicolodi – nei panni della rigida Signora Bruckner (che a me continua a ricordare la Frau Blucher di Frankenstein Junior, non posso farci niente, e, se anche non è fatto apposta, non posso credere che non sia venuto in mente a nessuno durante la lavorazione del film) – e Fiore Argento per la sequenza iniziale.