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Archive for dicembre 2018

E con questo si chiude fino all’anno prossimo.

Buone feste, vacanze, robe a tutti 🙂

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In uscita il 31 gennaio.

Sembra un onesto caso di possessione con tutte le carte in regola.

 

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In uscita il 17 gennaio.

Potenziale nomination per Saoirse Ronan? O per Margot Robbie? O per entrambe?

E il 17 gennaio torna anche Shyamalan con quello che ha tutta l’aria di essere un terzo capitolo dopo UnbreakableSplit.

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E qui andiamo decisamente fuori ambito Oscar.

A meno che non si becchi qualche nominations per gli effetti speciali.

In uscita il 1 gennaio.

La regia di James Wan mi lascia sperare per il meglio.

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Questo è potenzialmente uno dei grandi partecipanti agli Oscar di quest’anno.

Nelle sale il 7 febbraio, fortunatamente prima della cerimonia.

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Manco a dirlo, sezione After Hours.

Regia di Pascal Laugier, per una produzione franco-canadese ma girata in inglese.

Vera e Beth sono in viaggio con la loro madre verso la casa di una zia.

Quando arrivano a destinazione trovano una vecchia dimora piena zeppa di anticaglie, oggetti recuperati da tutte le parti e tante, tantissime bambole.

E’ strana, quella casa.

La sera stessa le tre donne vengono aggredite da due folli conciati in modo bizzarro e devono lottare disperatamente per la loro salvezza.

A distanza di anni, Beth, ormai adulta, è un’affermata scrittrice di romanzi horror e ha deciso di raccontare quell’esperienza in un libro, Incident in a Ghostland.

Nel frattempo, qualcosa fa sì che si veda costretta a tornare nella vecchia casa, dove sono rimaste sua madre e sua sorella.

Vera è rimasta strana e piena di problemi. Sembra non aver mai davvero superato la notte dell’aggressione.

Beth si ferma con lei. Vuole aiutarla. E qualcosa comincia a non tornare. Qualcosa di quella notte che forse non si sono lasciate del tutto alle spalle.

Un bell’horror vecchia maniera. Con i cattivi psicopatici nascosti nel buio che ti fanno saltare sulla poltrona.

Ok, non è perfetto e delle pecche ci sono. Le ragazze urlano un po’ troppo e di villain ne ho visti di più spaventosi, però nel complesso il giudizio è più che valido.

Una buona scansione dei tempi dell’horror ti lascia entrare e ambientare con calma prima di mettere tutto in discussione. Ribaltamenti di prospettiva e piani di realtà che si incastrano come scatole cinesi.

Un po’ di jumpscare ma ben utilizzato, in modo funzionale alle situazioni.

Personalmente tendo a spaventarmi di più quando c’è di mezzo il sovrannaturale, mentre qui siamo più sul lato non-aprite-quella-porta dell’horror, però le bambole sono terribilmente inquietanti e, in ogni caso, la tensione si crea.

E con questo si conclude anche il mio TFF di quest’anno.

Ghostland arriva nelle sale oggi, con il titolo La casa delle bambole.

Cinematografo & Imdb.

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In concorso.

Regia di Markus Schleinzer.

Più ci penso e meno mi convince.

Quando sono uscita ero più propensa a muovere la sola critica di un’eccessiva lunghezza dell’ultima parte, tant’è che il voto del pubblico gliel’ho comunque dato. E però adesso, a freddo, mi rendo conto che non è solo una questione di lunghezza o lentezza. C’è qualcosa che non mi torna.

La vicenda e lo spunto sono molto interessanti. Si tratta della storia vera di Angelo Soliman.

Siamo in Europa, all’inizio del 1700. Angelo arriva dall’Africa e viene subito venduto ad una nobildonna (Alba Rohrwacher) che vuole dimostrare, per farla breve, che con la sua sublime educazione anche un selvaggio negro può imparare a comportarsi.

Questo approccio fornisce in ogni caso ad Angelo tutta una serie di possibilità insolite e lo porta a costruirsi una carriera peculiare come negro di corte.

Girato in luce naturale – cosa molto bella ma per me molto faticosa perché nelle scene con luce troppo bassa, tipo luce di candela, io non vedo una mazza – suddiviso in capitoli (3 o 5 è ancora da capire), Angelo alterna momenti coinvolgenti e parti un po’ troppo lunghe che sono sostanzialmente interlocutorie e allentano la presa sullo spettatore.

Bravi gli attori e belle le inquadrature lente, quasi fisse, in pieno stile Sorrentino.

Però avrebbe potuto essere fatto anche meglio e risultare un filo meno noioso.

Regia di Stanley Kwan. Sezione Festa Mobile.

Quando ho inserito questo in programma temevo di aver fatto una cazzata e di aver beccato una cosa troppo faticosa.

In realtà First Night Nerves è davvero gradevole.

A Hong Kong si prepara il debutto di uno spettacolo teatrale. Il ritorno sulla scena di una star da tempo dimenticata, le vite di attori, regista e membri dello staff in un turbine a metà tra il dietro le quinte e il gossip da tabloid.

Leggero e dinamico, un balletto della quotidianità condotto con grazia da un cast impeccabile dal primo all’ultimo elemento.

Bell le ambientazioni, belli i colori sgargianti dei vestiti.

Le dinamiche relazionali che si instaurano sono da un lato analoghe a quelle che potremmo trovare in un film di altra produzione ma d’altro canto sono veicolate e filtrate attraverso quell’affascinante velo di compostezza che caratterizza l’approccio orientale alla gestione delle emozioni.

Molto molto carino.

Regia di Sébastien Bertbeder. Sezione Festa Mobile.

Garbata commedia degli affetti, dall’impronta tipicamente francese.

Ulysse è un artista ormai ritiratosi, che vive in solitudine e che ha troncato i legami con tutti.

Mona è una studentessa di arte che si è fissata con lui e vuole parlarci.

Il caso vuole che i due si trovino quando a Ulysse viene diagnosticato un male incurabile.

L’artista chiede allora aiuto alla ragazza per fare una sorta di giro dei saluti e per fare ammenda con le persone che ha ferito nel corso della sua esistenza.

Se la tipologia di relazione alla base della storia non è sicuramente una novità, è vero però che qui l’alchimia tra i due funziona bene. I toni sono leggeri, anche quando sono tristi e il ritmo è coinvolgente.

Consigliato, se e quando arriverà in distribuzione.

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Sezione After Hours. Regia di Claire Denis, per la prima volta in inglese e alle prese con la fantascienza.

Prigionieri nello spazio.

Condannati a morte o all’ergastolo cui viene proposta l’opzione di scontare la propria pena nello spazio, cavie per una missione che non ha possibilità di rientrare – anche se nessuno lo dice esplicitamente.

Una bolla di vita persa nel nulla, diretta verso un buco nero, che manda resoconti ad una terra che non risponde e che, per quanto ne sanno, potrebbe ormai anche essere morta.

Macchine mute, contrapposte all’intensità della vita che, nonostante tutto, si crea a bordo.

Il gruppo di prigionieri è male assortito e problematico.

A tenere – si fa per dire – le redini è la Dottoressa Dibs, ossessionata dai suoi esperimenti sulla riproduzione artificiale cui sottopone i giovani prigionieri.

Tra di loro, Monte, votato alla castità.

Nel ruolo della dottoressa, una strepitosa Juliette Binoche che per me ormai rimarrà in eterno la sciamana dello sperma, altro che Chocolat (diretto peraltro sempre dalla Denis).

Nel ruolo di Monte un bravissimo Robert Pattinson – che ancora una volta dimostra di avere ottime potenzialità, se ben diretto e se non si prende ruoli di merda.

Morboso e bellissimo – alcune scene sono struggenti – High Life lascia a margine la fantascienza vera e propria per concentrarsi su questo ostinato baluardo di vita chiuso che cerca disperatamente di generare altra vita. Autoconservazione oltre ogni limite. Vita ad ogni costo. Amore (forse) ad ogni costo.

Sezione Festa Mobile.

Diretto e interpretato – anche se non da protagonista – da Ralph Fiennes.

La storia del ballerino Rudol’f Nureev prende forma attraverso un puzzle apparentemente caotico di flashback piazzati in modo sparpagliato.

La nascita sul vagone di un treno. Il successo. La profonda e lacerante spaccatura che si crea nel giovane Rudol’f che ama sinceramente il suo paese ma, sostanzialmente, non capisce perché questo debba impedirgli di amare anche tutto il resto.

La sua passione incrollabile, la determinazione fino all’obiettivo e anche oltre.

La conflittualità della situazione che nasce quando l’Unione Sovietica si rende conto che non può tenerlo nascosto ma non può neanche farne la sua marionetta di regime.

Oleg Ivenko regala un’interpretazione perfetta e toccante di un personaggio duro e inflessibile fino alla crudeltà ma animato da una forza inesauribile.

Un quadro inquietante del clima di quegli anni getta luce su retroscena di cui generalmente si sa piuttosto poco.

Ovviamente ottimo anche Fiennes nel ruolo del maestro di Ruldol’f.

Spero che arrivi nelle sale perché merita davvero.

Sezione Onde. L’unico che ho messo di questa sezione.

Regia di Jie Zhou. Cina.

Una ragazza perde suo marito, investito da una macchina. Riceve un risarcimento di cui non sa bene cosa fare. Lavora, fa la spesa, si prende da bere. E comincia a pensare. E comincia a contare.

Quanto vale la vita di un uomo? Quanto valeva la vita di suo marito?

Tutto viene contato. Tutto si può quantificare in Yen. E allora?

Mentre facciamo avanti e indietro tra i numerosi flashback (non segnalati esplicitamente) che ricostruiscono la vita della protagonista fino ad oggi, quello che spicca è la progressivamente crescente tendenza a monetizzare tutto, cose e persone.

Delicato, curato, fortemente espressivo. Triste ma non strappalacrime. Forse solo un po’ lenta la parte finale.

Un film che solleva interrogativi enormi e lascia con un retrogusto agrodolce di bellezza e di perdita.

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Trionfo di Paul Dano, dunque, per questa edizione del TFF. C’è chi immancabilmente brontola perché è una produzione statunitense con gli attoroni famosi e puzza inevitabilmente di mainstream. Personalmente mi limito ad essere contenta perché è un gran bel film e perché, una volta tanto, sono riuscita a vedere il film premiato.

Tra gli altri premi, miglior attore ex aequo a Jakob Cedergen di The Guilty, di cui parlavo l’altro giorno, e a Rainer Bock per Atlas di cui parlo adesso.

Diretto da David Nawrath, Germania.

Walter lavora come traslocatore per una ditta di recupero crediti legata alla malavita. Si occupa di svuotare appartamenti che poi vengono rivenduti per riciclare denaro sporco.

Poi, un giorno, si trovano a bussare alla porta dell’ennesimo appartamento da sgombrare e cominciano i problemi.

Problemi perché i proprietari – una giovane coppia con un figlio piccolo – non vogliono andarsene.

Problemi perché in ditta è arrivato un nuovo elemento, figlio di uno dei malavitosi che tirano le fila, violento e irascibile.

Problemi perché improvvisamente per Walter tutto cambia.

Un noir dai toni cupi e violenti, dalle luci fredde e spietate. Una storia cruda e – inaspettatamente – dolcissima al tempo stesso, caratterizzata dal forte contrasto tra le azioni di Walter e le motivazioni che lo spingono ad agire.

Bravissimo Bock, intensamente espressivo nella sua imperturbabilità.

Molto contenta che sia stato premiato.

E a Temporada è andato il premio per la miglior attrice a Grace Passo.

Regia di Andrè Novais Oliveira, Brasile.

Una storia senza una storia, in realtà.

La telecamera segue la quotidianità di Juliana, impiegata comunale alle prese con le operazioni di sensibilizzazione per la prevenzione della diffusione della febbre Dengue.

Non succede niente di eclatante eppure non è né lento né noioso.

Perché gradualmente ci si appassiona alla quotidianità di Juliana. Che non è niente di eccezionale, è solo una vita come tante, con le sue felicità e le sue catastrofi. Un quadro di movimento relativo, autosufficiente e chiuso in se stesso eppure perfettamente funzionante.

Lei è davvero molto brava.

La regia è asciutta, misurata, molto reale, di quella realtà che crea vicinanza, che ti prende per mano e ti fa sentire a casa.

Bellissima la decadenza di alcune ambientazioni.

Catharsys or the Afina Tales of the Lost World.

Sezione after Hours, anche se non mi spiego ancora bene perché. L’avrei visto forse meglio in Festa Mobile, ma è ancora da capire.

Regia di Yassine Marco Marroccu, produzione italo-marocchina.

Siamo in un futuro non troppo lontano. L’acqua è finita e un potente e carismatico presentatore radiofonico prende dalla strada un uomo apparentemente qualsiasi per portarlo in radio a raccontare al mondo la sua vita e la su storia.

Costui è Jamal Afina, una contraddizione vivente, dal momento che il suo nome significa Bello Brutto.

E Afina racconta, incalzato dalle domande del presentatore, e attraverso il suo racconto ripercorriamo la storia di un mondo oppresso e sprofondato nella sete, nella miseria e nella sottomissione.

Idea interessante e realizzazione buona per, diciamo, tre quarti.

Perché visivamente è notevole, con scenari alla Mad Max e un universo steampunk ricco di dettagli intriganti. Ha una colonna sonora molto coinvolgente e montata benissimo. Il presentatore-guru è un personaggio che sembra uscito dritto da un romanzo di Garcia Marquez ed è effettivamente molto di impatto.

Tutto bene fin oltre la metà, quando si capisce perfettamente dove voglia andare a parare ma, lungi dall’andarci davvero, la tira per le lunghe in modo decisamente eccessivo e si perde un tantino. Cala la tensione e sciupa alcuni dei buoni spunti che si erano disseminati nella fase precedente.

In definitiva, mi è un po’ pesato per questo discorso del finale ma rimane comunque pieno di idee interessanti su diversi piani.

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