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Archive for the ‘J. Kent’ Category

thebabadook

Regia di Jennifer Kent. Australia.

Samuel ha sei anni e vive da solo con la madre. Suo padre è morto il giorno in cui lui è nato. Ha perso la vita in un incidente stradale mentre portava Amelia in ospedale per partorire.

Amelia tira avanti da sola. Ha una sorella ma non le è veramente vicina. Non parla mai del marito, non lo nomina neppure. Lavora. Si occupa di Samuel e del suo carattere difficile.

Samuel ha paura dei mostri. Ogni notte bisogna controllare sotto il letto, nell’armadio, nei posti bui dove normalmente si rintanano i mostri. Spesso finisce a dormire nel letto della mamma e lei lo sente contrarre i muscoli e digrignare i denti.

Amelia la sera, per farlo addormentare, gli legge qualche favola.

Una sera Samuel le chiede di leggergli un libro nuovo che ha trovato nella sua libreria. Amelia non lo ha mai visto e non ha idea di come sia finito lì.

Ad ogni modo, cominciano a leggere. Il libro sembra una specie di fiaba, con disegni pop-up e una filastrocca che parla di una strana creatura di nome Babadook. Man mano che sfogliano le pagine però le frasi e le rime assumono tratti sempre più inquietanti e quella che dovrebbe essere una storia per bambini suona più come una minaccia di morte.

Amelia mette da parte il libro e torna alle fiabe classiche ma Samuel non riesce più a dimenticarsene. Babadook diventa un’ossessione. Non deve lasciarlo entrare. Costruisce armi improvvisate per difendere sé e la mamma. Ne parla in continuazione.

Si crea un crescendo. Samuel è aggressivo e spaventato. Incolpa il Babadook di alcuni spiacevoli incidenti. La notte diventa un momento da temere. Diminuiscono le ore di sonno. Aumentano le stranezze. Samuel peggiora. Amelia comincia a cedere. Ed è sempre più sola.

Babadook è un horror solo in superficie. Gioca con gli elementi canonici dell’horror per raccontare una storia fin troppo umana. E’ un horror psicologico. Una descensio negli abissi della psiche di una madre e di un figlio uniti e divisi da un dolore che non sanno affrontare e che li ha isolati dal resto del mondo.

Babadook è un film veramente notevole per molti aspetti. Per l’intelligenza e la complessità della costruzione. Per i molteplici livelli di lettura. Per i riferimenti raffinati alla tradizione letteraria e cinematografica dell’orrore a cui attinge e a cui rende omaggio: visivamente Babadook è la perfetta incarnazione del mostro classico, n po’ Dracula di Murnau, un po’ (un po’ tanto, in verità) Cesare del Caligari di Wiene, un po’ forse anche Mr. Hyde, con tutta la cupa inquietudine ottocentesca concentrata in quel cappello a cilindro.

Babadook non fa veramente paura. Non nel senso comune che normalmente si associa agli horror. Di spaventi veri e propri ce ne sono forse un paio. Però è fortemente disturbante, sicuramente anche perché crea fin da subito una forte empatia con il personaggio della madre.

Ecco, la madre. Essie Davis nei panni di Amelia è bravissima. Il suo ruolo, come il suo personaggio, si regge su un equilibrio delicatissimo e, ad un certo punto, richiede un pesante cambio di registro che lei gestisce in modo esemplare.

Babadook è un film di fantasmi, in tutte le loro accezioni possibili. Fantasmi da far entrare e da tenere fuori, da scacciare e da accettare. Un vestito vuoto appeso su una gruccia che sembra quasi una persona e la porta della cantina chiusa a chiave.

Cellar door. Neanche a farlo apposta. Forse anche questo è uno dei motivi per cui l’ho amato tanto. Per quella cantina.

E anche per il finale. Vorrei parlarne ma non voglio spoilerare, perciò mi limito a dire che è un finale…

*dita sospese sulla tastiera in cerca della parola adatta*

*si arrende al fatto che, sì, la parola che rende meglio è che è davvero un finale con i controcazzi*.

Vedetelo.

Imdb.

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