Mi sono accorta che da un po’ di tempo sto vergognosamente trascurando il filone horror con tutte le sue declinazioni annesse. Un po’ perché in sala non c’è praticamente niente di questo genere, e un po’ perché ultimamente non sono più riuscita a seguire niente delle Pallottole d’Argento – qualche settimana fa ho appena fatto in tempo a vedere che stavano dando The Messengers prima di crollare miseramente addormentata. E, per inciso, questo è uno di quelli che dovrò recuperarmi perchè, nonostante la presenza di Kirsten Stewart, sembrava parecchio inquietante – non a caso i registi sono orientali.
Altra considerazione è che nonostante gli zombie siano decisamente il genere di creatura non-morta che amo di meno, ho visto tanti – ma veramente tanti – zombie movie e di alcuni merita davvero parlare.
A voler essere proprio pignoli, 28 Weeks Later tecnicamente non dovrebbe inserirsi tra gli zombie movie dal momento che – come nel suo predecessore – abbiamo degli infetti, non dei morti viventi. Che poi questi infetti tentino di mangiarti esattamente come degli zombie e abbiano in più anche l’upgrade di muoversi velocemente – come già quelli di Resident Evil Extinction – è un altro discorso. Resta però il fatto che la struttura del film è quella classica da contagio zombie, per cui direi che chiudiamo un occhio e lo inseriamo tranquillamente nella categoria.
28 Weeks Later è un film che sicuramente non ha ricevuto la considerazione che merita per il fatto di essere il sequel del film di Boyle, 28 Days Later. E’ stato anzi parecchio snobbato in nome di paragoni e confronti giustificabili fino ad un certo punto e anche un po’ a causa dell’idea, molto diffusa e in parecchi casi anche molto vera, secondo cui il sequel fa schifo a prescindere. Nel caso specifico, ok, il film di Boyle è un’altra cosa – proprio nel senso che rientra nel filone da pandemia con molte dovute riserve – ma la questione si esaurisce qui.
Il film di Fresnadillo – oltre, per inciso, ad avere anche la benedizione di Boyle stesso che mi pare figuri tra i produttori – è davvero un buon film.
L’impostazione è più tradizionale ma la trama non è pretestuosa, anzi, mostra un perfetto equilibrio tra la nuova storia narrata e i tantissimi riferimenti formali che fanno da ponte con il film precedente. Primo fra tutti la musica. Il tema che nel primo accompagnava una delle scene finali più importanti qui viene ripreso in almeno due momenti altrettanto significativi: la sequenza iniziale della fuga di Don –bellissima, da sola vale tutto il film, ha una costruzione di inquadrature fantastica – e la scena dei cecchini. Altra citazione sono per esempio le dita negli occhi con Robert Carlyle che compie – seppur in contesti totalmente diversi – lo stesso gesto di Cillian Murphy, mentre un altro elemento sicuramente di richiamo è l’impiego delle riprese accelerate e spesso sovraesposte per le scene di aggressioni e smembramenti.
L’intento metaforico – anch’esso nella migliore tradizione horror – c’è e nemmeno troppo nascosto, con la situazione dei militari che richiama esplicitamente lo scenario di Baghdad (siamo nel 2007) e la scena in cui viene dato l’ordine di sospendere il bersaglio selettivo e di sparare a tutti che rappresenta il culmine del dramma.
Nel cast spiccano ovviamente Robert Carlyle, meraviglioso nella già citata scena iniziale, e Jeremy Renner, che familiarizza con la tenuta militare in vista del successivo Hurt Locker.
Degna di nota la scena dell’elicottero affetta-zombie. Devo cercare in quali altri film è stata ripresa.