Feeds:
Articoli
Commenti

Archive for the ‘Trainspotting’ Category

Ok. Parliamone.

Finora non avevo avuto il coraggio di guardare questo trailer.

Ci ho messo un po’ a metabolizzare l’idea di un seguito di Trainspotting e ne ero piuttosto terrorizzata – oltre ad essere infastidita dalla sigla T2 perché, come chiunque nato negli anni Ottanta potrà confermare, T2, fino a prova contraria indica Terminator 2.

Ma lasciamo da parte Schwarzy.

Trainspotting è un mostro sacro e non si può semplicemente fare un seguito. Bisogna approcciare la cosa con la dovuta cautela e soprattutto con il rispetto dovuto ad un pilastro generazionale.

Ora finalmente ho visto il trailer e mi sono decisa a documentarmi e sì, direi che gli darò una possibilità.

Per il fatto che il regista è sempre Boyle, che il cast è quello originale, che il trailer è montato dannatamente bene e che, alla base, in un modo o nell’altro c’è sempre Irvine Welsh. In libreria ho già visto le edizioni di Porno con la fascetta del film ma, non avendo letto il libro, non so dire quanto sia fedele la trasposizione. So che nel film siamo vent’anni dopo mentre nel libro si parla di sette anni dopo, ma niente più di questo.

Nostalgica operazione commerciale? Carenza di idee del buon Danny? Sincero tributo?

Staremo a vedere.

In uscita il 23 febbraio.

Read Full Post »

E con questo il blog va in vacanza per un po’. Credo fin verso metà settembre.

Buona estate (se arriva) a tutti.  🙂

Read Full Post »

tremava tutto. Io me ne stavo lì schiaffato davanti alla tele, cercando di non dargli retta, a quel coglione. Mi buttava giù. Provai a concentrarmi sulla cassetta di Jean-Claude Van Damme.

Come in tutti i film del genere, l’inizio era drammatico: era quasi obbligatorio. Poi, nel pezzo che veniva dopo c’era un grande sforzo per creare atmosfera, facendo tra l’altro entrare in scena il cattivo, e per far stare in piedi una trama proprio scacata. Comunque, Jean-Claude sembrava pronto a menare le mani da un momento all’altro.

“Rents, devo vedere la Madre Superiora”, fa Sick Boy col fiato corto, scuotendo la testa.

“Ah”, faccio io. Volevo mandarlo affanculo. Perché non si levava dai coglioni? Io volevo restarmene lì con Jean-Claude. Però già sapevo che stavo per sfasciarmi anch’io, non ci mancava molto, e se quello andava a farsi adesso poi mi lasciava a secco. Lo chiamano Sick Boy non perché sta sempre male per crisi d’astinenza, ma perché è un coglione che ha la testa fuori posto.

“Andiamo, cazzo.”

“Aspetta un momento.” Volevo vedere Jean-Claude farlo a pezzi, quello stronzo, che se la tirava tanto. Se ce ne andavamo adesso, rischiavo di non vederlo più. Al ritorno sarei stato troppo fottuto, e poi magari non tornavamo prima di due o tre giorni. Così gli dovevo pagare anche la multa a quel negozio del cazzo, per una cassetta a cui non avevo dato neanche un’occhiata.

“Devo andare, cazzo, e subito!” ulula lui, alzandosi in piedi. Se ne va alla finestra e ci si appoggia contro: respira pesante, da animale braccato. Negli occhi ha un bisogno disperato e nient’altro.

Io allora spengo il video col telecomando. “Cazzo, che spreco”, ringhio in faccia a quel coglione, a quel colossale rompipalle.

Lui getta la testa all’indietro, con uno scatto, e tira su gli occhi verso il soffitto. “Te li do io i soldi per riaffittarla. E’ solo per questo che sei tanto incazzato? Per cinquanta miseri pence?”

Il coglione ha quel modo tutto suo di farti sentire un vero bastardo.

“Non è questo il punto”, gli dico, ma senza troppa convinzione.

“Già. Il punto è che io sto da cani, ma il mio amico perde tempo, sta lì a farsi pregare, e intanto se la gode, perfino!” Ha gli occhi grossi come due palloni, ostili e supplicanti allo stesso tempo, che mi guardano male per il mio vile tradimento. Se campo abbastanza da avere un figlio, non mi deve guardare mai come mi guardava Sick Boy in quel momento. In occasioni del genere è irresistibile, il coglione.

“Ma io non…” protesto.

“Allora infilati la giacca, cazzo!”

All’inizio del viale non c’era neanche un taxi. Ce n’erano sempre un sacco solo quando uno non se ne faceva un cazzo. E’ agosto, in teoria, ma ho le palle talmente gelate che quasi mi si staccano. Non sto ancora male ma mi sta arrivando, cazzo, poco ma sicuro.

I. Welsh, Trainspotting, 1993

Read Full Post »

Choose Life. Choose a job. Choose a career. Choose a family. Choose a fucking big television, choose washing machines, cars, compact disc players and electrical tin openers. Choose good health, low cholesterol, and dental insurance. Choose fixed interest mortgage repayments. Choose a starter home. Choose your friends. Choose leisurewear and matching luggage. Choose a three-piece suit on hire purchase in a range of fucking fabrics. Choose DIY and wondering who the fuck you are on Sunday morning. Choose sitting on that couch watching mind-numbing, spirit-crushing game shows, stuffing fucking junk food into your mouth. Choose rotting away at the end of it all, pissing your last in a miserable home, nothing more than an embarrassment to the selfish, fucked up brats you spawned to replace yourselves. Choose your future. Choose life… But why would I want to do a thing like that? I chose not to choose life. I chose somethin’ else. And the reasons? There are no reasons. Who needs reasons when you’ve got heroin?

Causa weekend trascorso tra i monti a passeggiare in mezzo ai colori che cambiano e a raccogliere castagne, non ho grandi news cinematografiche o editoriali da proporre. Ergo, ne approfitto per parlare di un film che venerdì sera mi sono trovata quasi per caso a rivedere dopo diversi anni.  

Trainspotting. Danny Boyle. 1996.

Quello che ormai si può dire “un classico”. Per lo meno per la mia generazione.

Ci sono anni destinati a rimanere particolarmente impressi nella memoria. Anni che in qualche modo non riuscirai più a dimenticare, anche se quello che sei diventato non c’entra più niente con chi eri allora.

Resta la domanda. Quanto conta la percezione? Quando si dice che un film, un libro, un disco hanno segnato un periodo, quanto ha a che fare questo con la percezione che di esso ha avuto la generazione in quel momento più ricettiva per gli stimoli forniti dalla produzione artistico/creativa ad essa contemporanea? Domanda oziosa? Forse.

Tanto per dare un’idea del panorama cinematografico, il 1996 è l’anno in cui Baz Luhrmann si cimenta in quel curioso (e secondo me ben riuscito nonostante il binomio un po’ sciatto Di Caprio/Danes) esperimento che è Romeo+Juliet; e’ l’anno di Rodriguez con Dal tramonto all’alba; di Io ballo da sola di Bertolucci (del quale continuo a pensare che l’unica cosa bella di tutto il film sia Liv Tyler); di quel film che personalmente ritengo bruttissimo (non è pigrizia lessicale, è proprio brutto) ma al tempo stesso da vedere che è Crash di Cronenberg; di quel capolavoro di tristezza che è Le onde del destino di Lars von Trier (non il suo più terribile ma sicuramente il suo più crudele); è anche l’anno di Larry Flynt di Milos Forman (il regista di Qualcuno volò sul nido del cuculo e de L’ultimo inquisitore)con tutta l’ondata di astio verso la povera Courtney Love ancora nel mirino di tutti quelli che l’accusavano della morte di Cobain; l’anno di Independence Day con il quale Roland Emmerich scopre il divertimento di distruggere la terra in grande stile (tanto che poi non riuscirà a smettere visti i vari The Day After Tomorrow e 2012); l’anno del primo Mission Impossible, che, anche se nessuno se lo ricorda, era pur sempre di Brian de Palma; l’anno di Woody Allen con Tutti dicono I Love You, non tra i miei preferiti, per la cronaca; di Scream di Wes Craven che un po’ fa sul serio e un po’ si prende in giro da solo ma intanto lancia una specie di nuova moda teen-horror; de La sindrome di Stendhal del nostro Dario Argento; di quel film stucchevole che è Striptease (Andrew Bergman) con Demi Moore, gravato da tutta la pesantezza della cappa di perbenismo moralista degli anni Novanta (un po’ la versione triste dell’attuale Magic Mike che, come livello, non sarà tanto più su ma almeno non pontifica ed è ragionevolmente divertente); l’anno di Alan Parker con Evita; di quella perla indimenticabile che è il Riccardo III di Al Pacino.

In mezzo a tutto questo Danny Boyle se ne esce con la trasposizione cinematografica del primo romanzo dello scozzese Irvine Welsh Trainspotting, del 1993. Diventa subito uno di quei casi in cui ad essere ricordato sarà prevalentemente il film. Uno di quei rari casi (come Fight Club di Fincher) dove la potenza visiva ed emotiva del film è tale da lasciare in secondo piano il libro.

We took morphine, diamorphine, cyclizine, codeine, temazepam, nitrazepam, phenobarbitone, sodium amytal, dextropropo xyphene, methadone, nalbuphine, pethidine, pentazocine, buprenorphine, dextromoramide, chlormethiazole. The streets are a wash with drugs you can have for unhappiness and pain, and we took them all. Fuck it, we would of injected vitimin C if only they’d made it illegal.

Ci sono tutti gli anni Novanta, inquadrati e impacchettati prima ancora di essersi conclusi. Cominciano a radicarsi le idiosincrasie e le nevrosi collettive che saranno amplificate e dominanti del decennio successivo. C’è un’ironia impietosa nel demolire ogni parvenza di credibilità delle strutture sociali e civili. Siano esse istituzionali o legate alla sfera affettiva. C’è un approccio dissacrante e distruttivo. C’è una leggerezza sfacciata e ostentata. Celebrazione e trionfo dell’autodistruzione – ma quale? Quella dell’eroina o quella del finale?

E ovviamente c’è l’Aids. Che andava tanto di moda negli anni Novanta. Capiamoci, non è che voglia sminuire la cosa in sé, ma è un dato di fatto che ogni decennio ha bisogno del suo Spettro da temere e (far finta di) combattere. Negli anni Novanta c’era l’Aids. Anche perché era la novità. Poi, quando non è stata più tale, hanno smesso tutti di parlarne. E non è che sia sparita. Semplicemente i malati di Aids non se li caga più nessuno. Non ci sono neanche più quelli che ti danno la coccardina rossa in giro per strada. Passata di moda. Passati oltre.

E poi c’è tutto l’aspetto grottesco surreale, con alcune scene ormai strafamose, da quella di apertura con Ewan McGregor che corre (con Lust for Life di Iggy Pop come colonna sonora), a quella della peggiore toilet di tutta la Scozia (tralasciando quella terribile di Spud), fino alla galleria di allucinazioni durante la crisi d’astinenza. E il personaggio di Begbie (Robert Carlyle).

C’è anche Irvine Welsh nei panni dello spacciatore Mikey.

You see if you ask me we’re heterosexual by default, not by decision. It’s just a question of who you fancy. It’s all about aesthetics and it’s fuck all to do with morality. But you try telling Begbie that.

Cinematografo & Imdb

Read Full Post »