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Archive for the ‘Linkin Park’ Category

E dunque c’è ancora vita in queste lande abbandonate da mesi.

Forse anche troppa in verità, visto che il mio antivirus ha deciso di andare in sciopero e nell’attesa di capire cosa gli è preso forse è meglio se faccio un backup delle ultime cose.

Mesi che avrei voluto più lenti e allo stesso tempo più produttivi.

L’ansia di concludere qualcosa che sia in qualche modo spendibile come giustificazione di notti insonni, di tempo perso, di lavori non fatti e di umori tetri.

L’ansia di uniformarsi ai parametri di un personaggio che credo di dover incarnare. Il fantasma di quello che sono e che non posso essere.

Le stesse domande che rimbalzano impazzite tra le sinapsi del mio cervello.

Le domande urlate.

Che non coprono il rumore di fondo.

Cieli lontani e di un azzurro diverso. Il cielo non è sempre lo stesso, è una puttanata, quella faccenda del cielo.

Il cielo cambia, e anche tanto, a seconda di dove sei.

Le parole affastellate nella mente, così in fretta. E ancora non basta. Non è abbastanza in fretta. Perché bisogna aggiungerne altre. Bisogna scoprirne altre.

La ricerca della Torre Nera – mi sto cautamente avvicinando alla fine e ho fatto i salti mortali per schivare trailer, recensioni, e tutto quanto inerente il film mi potesse vagamente spoilerare qualcosa.

I libri francesi sulla costa francese – a volte riesco ancora a stupirmi delle mie coerenze da sceneggiatura di serie b.

I nomi annotati, perché devo saperne di più.

Pauline Dubuisson e l’eredità della sua verità distorta e svenduta. Pauline Dubuisson che è assassina oltre che suicida e quindi non posso che andarci a nozze con le mie ossessioni per i profili psicologici di assassini e suicidi.

Philippe Dijan, e le sue parole che in Oh sembrano effettivamente tagliate addosso a Isabelle Huppert in Elle – se riesco uno di questi giorni mi garberebbe mettere insieme un pezzo su libro e film in parallelo perché è un lavoro di trasposizione veramente buono.

Appunti sparsi. Senza un ordine preciso.

Fantasmi che viaggiano fino all’altro capo del mondo.

Ricordi portati indietro.

Pezzi di vita lasciati per strada.

Un paio di orecchini nuovi.

Un orecchino perso sul nastro al check-in di un aeroporto.

La seconda stagione di Penny Dreadful e la mia fissa per i tarocchi – di cui dovrò comprarmi un nuovo mazzo, in un modo o nell’altro.

Josephine Baker e le vite che si scoprono per caso.

La scoperta inaspettata di esseri umani meravigliosi mi restituisce – anche se per poco – un senso di pace. Mi concede una tregua dalla continua estenuante tensione. Una pausa dal terrore profondo di fronte ai gesti inconsulti di un’umanità per buona parte impazzita.

Atomica Bionda e il fumetto da recuperare.

Monolith e il fumetto da recuperare.

Ma sto facendo astinenza (quasi totale) da Amazon e quindi dovranno aspettare.

Ciao, sono Valeria, sono quasi due mesi che non faccio acquisti compulsivi online.

Ciao Valeria.

Dunkirk e i colori di Nolan.

Fantasmi che si ostinano a seguirti dall’altra parte del mondo e orari sballati.

Ho bisogno di più libri, di più film, di più musica, di più tempo.

Di spazi di silenzio per sentire le parole che mi arrivano da altri luoghi nel tempo.

Di altri colori, di altri pennelli.

Molto horror, come da copione estivo, compreso l’ultimo capitolo della mia adorata (?) Annabelle – cui dedicherò un Weekly Horror se riesco a non mandare subito a monte la mia programmazione.

Il mio esaurimento nervoso per la devastazione di aNobii – prima o poi mi deciderò anche a mettermi seriamente in pari con commenti e discussioni e potrò dare sfogo al mio disappunto ma, onestamente,  mi sento stanca già solo a scrivere di pensare di farlo.

La città deserta e le vie nascoste di cui non sospettavo l’esistenza.

La rete di strade sommerse, appena sotto lo strato delle abitudini quotidiane.

Gli scorci di palazzi decadenti e bellissimi. Facciate scrostate e balconi arrugginiti.

Le parole spezzate di Chris Cornell e Chester Bennington e io, che i Linkin Park li ho sempre un po’ tenuti da parte.

Le lettere di Frida Kahlo. Sempre per tornare agli esseri umani meravigliosi.

Una casa piena di ricordi. Legami che impregnano i muri, si sostituiscono ai mattoni, diventano densi e palpabili in ogni spigolo, ogni irregolarità dell’intonaco.

Il silenzio delle mattine di agosto.

Il silenzio.

L’immensa e letale bellezza dei dettagli.

Dei frammenti di tempo.

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Riguardo i post della settimana e mi accorgo con disappunto che non sono andata fuori tema neanche una volta. Urge porvi rimedio.

Riflessioni sparse #1. Sono due giorni che mi gira in testa Castle of Glass dei Linkin Park. Il che già di per sé merita una parentesi. I Linkin Park non sono esattamente my cup of tea per svariati motivi. Prima di tutto, lo spreco di risorse: sono in sei a fare il lavoro di due. Tra un po’ suoneranno una nota a testa. Poi. Dopo Numb (Meteora, 2003) e un altro paio di brani abbastanza riusciti hanno continuato a rifare praticamente sempre la stessa canzone con arrangiamenti diversi e nel complesso piuttosto lassativi. Teoricamente vengono ancora definiti come alternative metal ma immagino si debba intendere che rappresentano un’alternativa al metal, che è tutta un’altra roba. Con A Thousands Sun nel 2010 tirano fuori The Catalyst che se non altro ha il pregio di essere un po’ diversa dalle altre. In certi punti sembra che abbiano avuto un improvviso attacco di techno ma non importa, è qualcosa di nuovo, va bene anche la techno. Peccato che poi il resto dell’album ripiombi nella melma dei soliti due o tre riff. 2012 Living Things. Burn it Down ha francamente rotto le palle e ormai vengo colta da crisi allergiche ogni volta che sento la intro. Poi salta fuori Castel of Glass. Appena l’ho sentita non avevo riconosciuto i Linkin Park. E questo è il primo punto a favore. Anche qui, si sospetta il rapimento alieno, in questo caso con conseguente attacco di country, ma, ad ogni modo, non so neanch’io bene perché, mi piace. L’hanno anche usata per Medal of Honor. Warfighter. Non ho ancora sentito tutto l’album ma non nutro comunque grandi speranze. Mi aspetto piuttosto che Castle of Glass sia la nuova Catalyst. Di questo passo, con una canzone buona per album, tra una decina d’anni potrò prendermi un greatest hits.

Riflessioni sparse #2. Cerco di adottare una prospettiva esterna su me stessa e osservo con un misto di curiosità e condiscendenza il mio buonumore di oggi. Un buonumore ostentato e irrazionale quanto fuori luogo che si protrae da ieri, quando ho sentito la notizia che i Muse torneranno a Torino. Allora, secondo le ultime di Virgin di stamattina la data del 29 giugno che si era sentita ieri non è confermata ma sono confermate le tappe di Torino e Roma. E per Torino è confermato anche lo stadio olimpico, cosa che va ad aumentare la mia già immensa gioia, dato che l’acustica dell’Isozaki è terribile, soprattutto sulle note alte – che i Muse non le prendono mai, no,no. Anyway, sempre dall’esterno osservo i miei tentativi di non saltellare sulla sedia ad ogni aggiornamento delle news (scarso successo) e di non molestare tutti quelli che hanno la sventura di essermi prossimi (assolutamente senza successo), incurante del fatto che al mondo possono esistere persone a cui non piacciono i Muse (mah). Confido che la fangirl-mode non si protrarrà ininterrottamente fino a giugno ma per ora mi crogiolo felice nell’attesa di mettere le zampe sui biglietti. 😀

E comunque il post di oggi voleva essere solo l’anticipazione del prossimo film di Tarantino. Uscita prevista gennaio 2013.

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