Comunicazione di servizio. Temo che il mio povero pc sia stato infestato da qualcosa che gli conferisce la reattività di un pitone che ha appena ingoiato una capra. Ora. Domani organizzerò una sessione di stalking d’emergenza ai danni del povero tizio che ha la sfortuna di avere un negozio che fa assistenza proprio sotto casa mia, ergo spero di rientrare in possesso della creatura già per domani sera. In caso contrario probabilmente salterà qualche post dal momento che da ipad non ho tutto quello che mi serve per postare. Fine della comunicazione di servizio.
Moonrise Kingdom. Wes Anderson.
Devo ancora decidere se mi ha fatto più ridere Bruce Willis nei panni di un attempato e triste poliziotto di campagna o Edward Norton nel ruolo di capo-scout.
Anni Sessanta. New England.
Un giovane scout orfano ed emarginato dagli stessi compagni e una ragazzina apparentemente problematica (presumibilmente solo adolescente) in conflitto con la propria famiglia intrattengono un fitto scambio epistolare la cui fisiologica conseguenza è la decisione di fuggire insieme per vivere finalmente il loro amore. (Sì, al centro di tutto c’è effettivamente una fuga d’amore, come indica il pregevole sottotitolo della versione italiana).
Una coppia (Bill Murray e Frances McDormand – i genitori della ragazzina) ormai stanca e disillusa, passivamente rassegnata all’assoluta prevedibilità e piattezza del quotidiano (pur con qualche diversivo – bè, si fa quel che si può).
Un poliziotto (B. Willis, dicevo) triste e solo (completamente solo?).
Un capo-scout (E. Norton) terribilmente preso dal suo ruolo.
Un campo scout organizzato con l’assoluta serietà di un campo militare.
Una responsabile dei Servizi Sociali (la mia amata Tilda Swinton) totalmente assorbita nel suo ruolo tanto da non avere un’identità separata.
Dati questi ingredienti, si aggiunga un’ambientazione che ricorda più una ricostruzione giocattolo degli anni Sessanta (in particolare la casa è una casa delle bambole e le riprese sulle stanze – dal punto di vista della parete mancante – non fanno che aumentare questa impressione) che non gli anni Sessanta reali e una serietà dei personaggi tale da renderli spassosi pur senza togliere loro nulla in complessità (e anche in drammaticità).
Di sicuro il cast – fantastico – è elemento fondamentale – qui più che altrove – per la buona riuscita del film, nel caso specifico, per il mantenimento di un equilibrio essenziale. In una comicità interamente impostata sul surreale quale è quella di Wes Anderson, basta veramente un nulla per scadere nel grottesco. Per dire, giusto Bruce Willis poteva non far sembrare un insulso pusillanime il personaggio di quel poliziotto. O parliamo anche solo di Harvey Keitel nei panni del capo-scout anziano (sono morta dal ridere).
Il passaggio da divertente a ridicolo è sempre in agguato quando si tratta di surreale ma Wes Anderson ha già ampiamente dimostrato in passato di saper gestire questo particolare aspetto e qui non si smentisce.
Bravissimi e davvero spassosi anche i due ragazzini protagonisti, nella loro rocambolesca avventura di sopravvivenza, con tanto di gattino in una cesta al seguito, scorta di libri di favole e un binocolo che magicamente avvicina le cose.
E comunque, tornando al mio dubbio iniziale, direi Edward Norton. Ha delle espressioni che sono insuperabili.
Meritata la nomination per la miglior sceneggiatura originale (W.A. e R. Coppola).
Da vedere assolutamente.
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