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Archive for 4 novembre 2015

chi perde paga sperling

Da dove comincio? Non so. E non lo so perché dire che l’ultimo libro di Stephen King mi è piaciuto/è fighissimo è davvero un tantino scontato.

Non credo che un libro di King potrebbe non piacermi. Perché lo leggo da troppi anni e il suo modo di scrivere mi è ormai così familiare che quando leggo qualcosa di nuovo sono sì, curiosa di vedere cosa si è inventato ma anche sicura del fatto che mi piacerà comunque.

Questo rende in qualche modo meno onesto il mio giudizio? Non credo.

Mina in qualche modo la possibilità di una qualche pretesa di oggettivazione del mio giudizio? Forse.

Questioni oziose? Assolutamente sì.

Ma è un dato di fatto banale e incontrovertibile che Chi perde paga è l’ennesimo libro di King di cui dirò un gran bene.

Secondo capitolo della trilogia, iniziata con Mr. Mercedes, avente per protagonista il detective in pensione Bill Hodges, Chi perde paga – in originale Finders Keepers, sulla cui traduzione, per la cronaca, sono anche andata a importunare il povero Arduino, perché secondo me ci stava meglio Chi trova tiene – copre un arco di più di trent’anni.

Ad una estremità, per così dire, di questi trent’anni c’è Morris Bellamy (pessima idea, zio Steve, mettere un tizio col cognome del frontman dei Muse, pessima, oltretutto connotandolo con tratti da roditore che han fatto sì che per tutto il tempo io mi immaginassi un tale stile Matt Bellamy), all’altra c’è un ragazzino, Peter Saubers.

Siamo nel ’78. Morris Bellamy, novello Annie Wilkes, pianta una pallottola in testa a John Rothstein, autore di romanzi di culto e colpevole, secondo Bellamy, di aver distrutto il suo personaggio condannandolo ad una normalizzazione impietosa. Nella cassaforte di Rothstein ci sono soldi. E taccuini. Un gran numero di taccuini Moleskine (per questo dettaglio devo ancora capire se si tratti effettivamente di marchettona o meno) fitti della calligrafia ordinata dello scrittore. Il suo personaggio, dunque, non è perduto. A Bellamy dei soldi non importa poi così tanto. Quello che conta, l’unica cosa che conta, è che Jimmy Gold, il suo adorato personaggio, ha ancora speranza di redimersi.

Poi. Siamo tra il 2010 e il 2014. Peter Saubers è figlio di un reduce del massacro del City Center, studia letteratura e ama terribilmente le opere di John Rothstein.

E c’è un punto, in cui spazio e tempo si comprimono e contraggono e l’esistenza di Morris e quella di Peter vengono in contatto. Si annodano, si legano indissolubilmente. Un punto di non ritorno. E tutto comincia una corsa inarrestabile verso la resa dei conti.

Il tempo è uno dei grandi protagonisti di questo romanzo.

Insieme alla scrittura e alla lettura. L’amore – a volte anche distorto, ossessivo, malato – per la parola scritta. Il Fedele Lettore nella sua versione più inquietante e pericolosa.

Echi delle ossessioni di King, fantasmi che forse hanno ancora da dire la loro.

Alternanza di piani, un ping pong avanti e indietro in questo arco di trent’anni, vicende separate, che partono da lontano ma convergono inesorabili verso lo scontro.

E Bill Hodges. Che per quasi tutto il libro è presente solo ai margini e che ritorna davvero protagonista nel momento decisivo.

Molti, moltissimi i richiami a Mr Mercedes. E un portone enorme che si spalanca sul finale, lasciandoti lì a cercare affannosamente la data di uscita del terzo volume, End of Watch, che negli USA uscirà a giungo e quindi posso supporre che da noi arriverà intorno a Ottobre/Novembre 2016.

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