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Archive for 5 novembre 2013

The-Orphanage-locandina

C’è un qualcosa di profondamente insano nel rapporto dell’horror spagnolo con le abitazioni. Qualcosa che di fatto altro non è che il nocciolo della classica ghost story da casa infestata ma reso in un modo che risulta molto più inquietante che in qualsiasi altra variante. E’ un po’ quello che succede per le figure dei bambini negli horror giapponesi. Ci sono modi di rappresentazione che risultano particolarmente efficaci per esprimere le potenzialità di un canone.

The Orphanage, 2007, presentato, manco a dirlo (che ormai se un regista ha appena qualche lontano parente spagnolo Guillermo si precipita) da Guillermo del Toro e diretto da J.A. Bayona – poi regista del più recente ma, a quanto pare, meno riuscito The Impossible – è un film crudelissimo.

Laura e Carlos si sono trasferiti, insieme al figlioletto Simòn, in una grande casa, una volta sede dell’orfanotrofio dove Laura stessa è cresciuta.

Rimettono a posto la struttura e la trasformano in un piccolo centro per bambini disabili o malati.

Il progetto è quello di una conduzione familiare – Carlos è medico – con un numero estremamente limitato di bimbi. Una sorta di casa-famiglia.

Il giorno dell’inaugurazione però niente va come deve andare.

Le case nascondono segreti e il passato lascia sempre delle tracce.

Estremamente ben congegnato in ogni sua parte, con una trama che si dipana su due filoni apparentemente paralleli, un ben dosato mix di elementi horror, mistery e thriller vero e proprio, un’ambientazione perfettamente sintonizzata sull’atmosfera che deve creare, una coesistenza credibilissima di passato e presente, il film cattura fin dai primi momenti.

Lascia ovviamente presagire che qualcosa succederà, e forse insinua il dubbio su quale direzione stia per prendere, ma il dubbio rimane tale fino all’ultimissima sequenza.

L’equilibrio è delicato e solido al tempo stesso, gli elementi si aggiungono e si sommano come gli indizi della caccia al tesoro organizzata da Simòn, o da chi per lui, ma solo alla fine si ricompongono come un puzzle in cui ogni cosa ha un senso e un significato preciso.

L’incertezza in cui il film riesce a trascinare è la stessa di Laura, combattuta tra ciò che dovrebbe fare e ciò che vorrebbe credere, e fino alla fine non si è sicuri di quale sia effettivamente la realtà.

La sequenza finale, a partire dalla scena di un due tre, tocca la parete, è costruita in modo veramente magistrale. In bilico tra più piani di realtà, in un oscillare dentro e fuori da una dimensione ormai non così nettamente definita, la verità prende forma, univoca, inesorabile, impietosa. E si riassume in quell’urlo prolungato – chi l’ha visto sa, chi non l’ha visto non si preoccupi perché detta così non è uno spoiler – in quello strazio così privo di senso ma anche così ferocemente logico.

The Orphanage è così ben fatto anche perché riesce ad mantenere entrambi i piani, logico-consequenziale e sovrannaturale. Li fa quadrare, fa sì che non si escludano a vicenda ma coesistano. Realtà diverse che si incrociano e che, lungi dal contrastarsi, si completano.

Piccola parte anche per Geraldine Chaplin, nei panni di una medium, bella e carismatica come sempre.

Da vedere. Anche per chi non è strettamente appassionato di horror.

Seeing is not believing, it’s the other way round. Believe,and you will see.

Cinematografo & Imdb.

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