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Archive for 29 novembre 2017

Bellissimo.

Probabile candidato ai prossimi Oscar per la Corea del Sud.

Regia di Hun Jang, basato su fatti reali.

Siamo tra il 18 e il 20 maggio del 1980, durante quella che fu la rivolta di Gwangju, poi sfociata in un sanguinoso massacro ad opera delle autorità coreane.

Jurgen Hinzpeter, un giornalista tedesco, senza dichiararsi come tale, riesce ad entrare a Seul e cerca un modo per raggiungere la zona dove si vocifera siano in atto delle rivolte che paiono concentrarsi intorno alla città di Gwangju.

Non c’è niente di certo e non c’è modo di verificare quello che si sente dire perché il regime coreano ha tagliato tutti i collegamenti di Gwangju con il resto del paese. Niente linee telefoniche. Niente stampa. E i notiziari sono rigorosamente di regime.

In quei giorni la Corea viveva la dittatura di Chun Doo-hwan ed era un paese dove era possibile non sapere cosa stesse succedendo a duecento chilometri di distanza. Dove Seul e Gwangju potevano essere effettivamente due pianeti diversi. Se ti affidavi ai notiziari potevi al massimo sentire di come i bravi soldati coreani difendessero l’integrità della patria dalla minaccia dei giovani estremisti comunisti.

Kim Man-seob è un tassista di Seul. Vedovo, con una figlia piccola, cura il suo taxi come un gioiello e svolge il suo lavoro con dedizione. E’ un uomo buono e semplice. Pensa che gli studenti perdano tempo a protestare e che, in fin dei conti, non ne abbiano motivo perché vivono in un bel paese.

Fatica a star dietro alle spese e a pagare l’affitto, motivo per cui, quando sente per caso lo stralcio di conversazione di un altro tassista che fa cenno ad un compenso altissimo per portare uno straniero da Seul a Gwangju non ci pensa due volte a soffiargli l’incarico. Non sente la parte sul fatto che quello che dovrà fare sarà cercare di penetrare una zona vietata e, al momento, ad altissimo rischio.

Sullo sfondo di una situazione sempre più estrema e drammatica, prende forma il curioso rapporto che si instaura tra Kim e Hinzpeter, che quasi non si capiscono e reciprocamente si esasperano in un susseguirsi di malintesi.

La prima parte del film è leggera, sinceramente spassosa. Il tono cambia gradualmente man mano che si delinea la reale portata di ciò che sta succedendo intorno.

Le autorità impiegano poco ad identificare un giornalista straniero entrato illegalmente e un tassista di Seul e impiegano ancora meno a tentare di eliminarli.

L’unica speranza di far sapere al mondo quello che sta succedendo lì è che Hinzpeter riesca a lasciare la Corea con i suoi filmati.

Con i suoi filmati dell’esercito che spara ai civili. Dell’esercito che spara ai feriti. Dell’ospedale pieno di morti e feriti. Ragazzi, donne, anziani. Non fa differenza. Vengono massacrati tutti senza pietà.

A Taxi Driver è un film ricchissimo. Di raro equilibrio e intensità. Vengono gestiti con estrema naturalezza sia i toni della commedia – a tratti un po’ buddy movie – sia quelli del dramma e, cosa importantissima, viene gestito bene il momento di passaggio, dove l’ironia e la tragedia coesistono in modo contrastante eppure armonico.

Commovente senza essere né sentimentale né scioccamente eroico, divertente e toccante.

Kang-ho Song, nel ruolo di Kim, il tassista, offre una parte intensa e perfetta nella sua graduale evoluzione dall’ingenuità alla consapevolezza. Dalla fiducia al dolore per il tradimento profondo dello spirito di una nazione.

Nei panni di Hinzpeter troviamo un Thomas Kretschman particolarmente invecchiato e, di per sé, neanche troppo in forma. Diciamo che fa la sua parte ma non è sicuramente la sua recitazione a costituire un tratto distintivo del film.

Ripeto. Bellissimo. Mi auguro davvero che arrivi in distribuzione nelle sale.

Imdb.

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