Coerente con quanto dicevo l’altro giorno sui film in tv, ieri sera mi sono lasciata attirare a vedere questo.
E’ il classico caso di film per il quale non avrei mai speso un centesimo né mosso un muscolo per vederlo in sala (cose che effettivamente non ho fatto) fondamentalmente per due motivi e cioè antipatia per il libro d’origine e diffidenza radicata verso il cinema nostrano. E’ pur vero che è comunque un film di cui due anni fa si è parlato fino alla nausea e quindi, visto il costo zero dell’operazione (e soprattutto la possibilità di backup di addormentarmi sul divano) mi sono lanciata nella pericolosa impresa, con il seguente esito.
“Partiamo da un dato che normalmente le recensioni sottovalutano: ‘La solitudine dei numeri primi’ di Saverio Costanzo è un film tecnicamente straordinario. Il livello della fotografia (Fabio Cianchetti) e del montaggio (Francesca Calvetti) è di grande respiro internazionale. L’uso in colonna sonora di brani musicali preesistenti (Goblin, Morricone, la famosa canzone ‘Bette Davis’ Eyes’ di Kim Carnes) avrebbe fatto sbavare, fosse stato un film di Tarantino, gli stessi cinefili integralisti che l’hanno fischiato. (…)” (Alberto Crespi, ‘L’Unità’, 10 settembre 2010)
Vero. Verissimo. Estremamente vero. Non sono una grande fan delle recensioni di Crespi ma qui ci ha preso in pieno.
E’ esattamente il motivo per cui non ho ancora capito se questo film mi è piaciuto o no. Perché da un lato sei lì che ammiri l’estrema delicatezza delle immagini e della ricostruzione degli ambienti anni ’80 e ’90, l’ottima recitazione dei due protagonisti – una volta tanto senza i soliti eccessi di pathos isterico all’italiana – la colonna sonora (davvero, uno dei miei primi commenti mentre guardavo il film è stato ‘ma si sono affittati i Goblin?!’), e dall’altro scuoti la testa con sconsolata disapprovazione di fronte alla storia.
Probabilmente devo prendere il discorso un po’ più da lontano.
Non ho letto il libro di Paolo Giordano (solo il primo capitolo in libreria) e non ho intenzione di leggerlo perché non ho nessuna stima dell’autore, mi ha disturbato tutto l’aspetto commerciale che si è sviluppato intorno ad esso creando l’ennesimo caso editoriale su autore esordiente e per di più la storia non mi piace neanche poi tanto. Mi urta il fatto che in Italia tendenzialmente se vuoi ritenerti ed essere ritenuto serio devi buttarti sul caso umano. E possibilmente farlo nel modo più melodrammatico possibile (vogliamo parlare di Bella Addormentata?! no, in effetti non ne ho nessuna voglia). Ora, non posso dire niente su come il libro sviluppi la storia ma già detta storia in sé è sufficientemente angosciante.
Alice (cheppalle un’altra Alice! Sono perseguitata) e Mattia sono due ragazzi segnati da un evento traumatico che ha marchiato per sempre la loro infanzia compromettendo in modo, pare, definitivo la loro capacità di relazionarsi con il mondo, con gli altri, ma soprattutto la loro capacità di vivere con se stessi. Sono due sistemi chiusi e isolati (diciamolo, l’immagine dei numeri primi è proprio brutta e tirata parecchio per i capelli oltre che banale – senza contare la mia naturale avversione per ciò che è numerico) che per caso si incontrano e si riconoscono come simili. Che poi dal reciproco riconoscimento si riesca a far partire un qualche percorso di riabilitazione alla vita, ai sentimenti, alla normalità dei rapporti interpersonali, è impresa decisamente più complicata.
Di fatto è un buon film su una trama che però, comunque la si rigiri, è troppo ostentatamente melodrammatica. Talmente tanto da non riuscire neanche a deprimerti davvero. Alla fine mi sono resa conto del fatto che stavo continuando a guardarlo non tanto per sapere come andava a finire quanto perché era davvero un piacere la recitazione della Rohrwacher (che nell’ultima parte regala un’interpretazione di altissimo livello che coinvolge non solo i suoi gesti ma la totalità del suo corpo, magrissimo per l’anoressia del personaggio) e di Marinelli (che riesce ad essere espressivo anche quando non fa niente, e non è cosa da poco).
Ecco. Tralasciando i personaggi di contorno dove ci sono dei picchi di sciatteria tipicamente italiani – non so, ma per me la Rossellini non si può sentire – e delle figure davvero troppo grossolanamente stereotipate – il padre di Alice è veramente troppo negativo, al punto da non risultare neanche più umano (e quindi plausibile) – tutti gli attori scelti per interpretare Alice e Mattia nelle diverse fasce d’età sono ottimi. In particolare Arianna Nastro e Vittorio Lomartire che interpretano i due adolescenti sono davvero delle piccole copie del duo Rohrwacher/Marinelli. La scena alla festa, con la richiesta da parte di Alice di toglierle in qualche modo il tatuaggio è bellissima e terribile. E’ di fatto il vero momento dell’incontro ed è costruita in modo tale da essere straripante di significato senza che esso venga in alcun modo ostentato.
Nel complesso pensavo di rimanere delusa e invece devo dire che sono contenta di averlo visto.
Parere mio personale.
Il film è più brutto del libro, tranne la tecnica di ripresa.
Il libro è più bello in scrittura. Paolo Giornato ha creato veramente un sali-scendi pazzesco nel narrare la sua storia.
Di fatto, a distanza di anni, mi rimane poco del primo e molto di più nel secondo.
Per i motivi che ho elencato.
In effetti, in generale anch’io tendo a preferire i libri alla loro versione cinematografica perchè bene o male nel passaggio si perde sempre qualcosa.
Da quel poco che ho letto, non mi pare che Giordano scriva male ma ho sempre avuto l’impressione di un prodotto preconfezionato su ordinazione. Poi per carità, non l’ho letto tutto quindi il mio parere lascia il tempo che trova. 😉
In compenso ho trovato il film apprezzabile anche senza la lettura del testo…cosa che non è sempre così scontata. A volte ci sono dei film in cui, se non conosci la trama del libro, non si capisce nulla 🙂
… Sono felice di non essere stata l’unica ieri sera a bivaccare sul divano 🙂
Ho letto il libro un annetto fa, per la mia convinzione più o meno illogica per cui, se di un libro ti dicono che è Bello-ma-veramente-bello o Brutto-ma-veramente-brutto, vale almeno la pena leggerlo. Io l’ho trovato da cestinare per la parte dell’infanzia e dell’adolescenza, che secondo me il film migliora di molto (hai ragione: quei due ragazzi sono bravissimi), ho seriamente pensato di chiudere il libro: troppo claustrofobico, troppo (ti cito un’altra volta) inumano, troppo spinto a voler mostrare con compiacimento quante cose brutte sa fare l’uomo. Bah. Mi è piaciuta molto la tranche adulta, invece, molto ben fatta anche nel film, ma con due attori così mi sarei stupita del contrario!
Non è una pellicola che mi ha esaltato particolarmente (nelle pubblicità valutavo se andare a letto, poi ogni volta stavo lì), ma c’erano quei momenti in cui mi sembrava che delle mie piccole realtà quotidiane mi venissero mostrate: la maglia indossata frettolosamente, la linea di matita tirata con foga, un crogiolarsi patetico nei dettagli di qualcosa… Mi ha fatto sentire meno sola.
E il finale è toccante. Volevo mangiarli perché Giordano ha messo la cosa migliore che ha scritto alla fine e loro l’hanno tagliata, ma quella scena in cui respirano l’uno nei capelli dell’altra fa bene al cuore.
Il nuovo libro lo comprerò, devo capire dove sta andando quest’autore.
hehehe…bivaccare sul divano è un’attività estremamente impegnativa 😉
Sì, tendenzialmente anch’io quando sento giudizi troppo categorici su qualche libro o film voglio verificare di persona…nel caso di Giordano non lo so, la curiosità non è stata sufficiente a farmi superare una certa diffidenza.
Il film però mi ha sicuramente sorpresa in senso positivo nonostante le mie riserve sulla storia in sè (nonchè i travasi di bile per l’idiozia dei genitori di questi due poverini!). E’ vero, il finale è di una dolcezza struggente e in generale tutta l’ultima parte è al tempo stesso tristissima ma anche molto vera. E poi sarà che io non ho grande fiducia nei registi italiani, ma non finisco più di stupirmi della finezza di una scelta di regia che riduce al minimo l’espressività. Sia le lacrime che i sorrisi sono solo dei cenni, come delle pennellate lievi sulla tela altrimenti impassibile dei volti dei protagonisti. Anche i gesti sono ridotti al minimo. Non c’è nessuna enfasi nè alcun tentativo di suscitare empatia. E quanto più si toglie all’estetica dell’espressione quanto più quel che ne rimane risulta efficace. Significativo. Arriva dritto al punto senza deviazioni inutili. Il volto della Rohrwacher da questo punto di vista è fantastico.
Ho visto il nuovo libro di PG, ma per ora non credo che lo prenderò…magari aspetto che ne facciano un altro film…o che tu lo abbia letto, così poi mi dici 😉
Di grande respiro internazionale cosa? Tecnicamente straordinario cosa? Vivo in un paese di geni. Possibile? Si, possibile. Virzì, Ozpetek, Costanzo, Brizzi, Veronesi da una parte, Lizzani, De Santis, Soldati, Camerini, Zurlini dall’altra. (Non ho citato volutamente i primari, Fellini, Visconti, Pasolini, Rossellini, De Sica, Antonioni). Però potevo citare i secondari, Risi, Lattuada, Monicelli, Steno, Blasetti, Genina, Guazzoni, Pastrone, Freda, Bertolucci, Castellani, Matarazzo, Malasomma, Germi, Salce, Rosi … ma quanti ce ne sono, fermatemi. Mi scuso per la classificazione primari e secondari ma teniamo ben presente chi sono gli ultimi. Proporrei per legge l’abolizione di termini quali Straordinario, Capolavoro, Geniale quando si parla di film. E la fustigazione in pubblica piazza di critici e marchettari televisivi. No, scusatemi per il troppo ardire, la fustigazione no, punizione troppo barbara. Però qualche bacchettata sulle dita, come si usava una volta, non farebbe male. L’avete visto l’ultimo capolavoro di Paolo Virzì, “Tutti i santi giorni”? Geniale. Io però il titolo l’avrei fatto cosi: “Tutti i santi giorni?”
Che folla di nomi! Tutti geni? Non lo so. Su quelli che definisci primari concordo, sui secondari ho qualche riserva. Più che altro perche perché penso che entri in gioco un discorso di storicizzazione. Più passa il tempo e più si definisce l’effettiva portata di un regista (o di un autore – lo stesso discorso può esser fatto in molti altri ambiti) e il suo ruolo in relazione alla totalità del panorama cinematografico non solo contemporaneo. Il giudizio in questo caso – il parlare di capolavoro o di genio – ha delle basi sicuramente più vicine all’oggettività e meno legate al gusto personale. Per dire, posso esprimere il mio parere dicendo che i film di Antonioni non mi piacciono ma non mi sognerei mai di argomentare sul loro valore effettivo né di dire che Antonioni non era un buon regista.
Più ci si avvicina cronologicamente e più le valutazioni sono influenzate dal gusto personale, dal contesto e da tutta una serie di fattori contingenti che inevitabilmente compromettono qualsiasi aspirazione all’oggettività. Per dire, ricordo di essere uscita da The Others definendo geniale l’idea di Amenàbar. Ma non era sicuramente un giudizio che avesse pretesa di avere una valenza che andasse oltre l’immediato.
Forse, in definitiva, è anche un problema semantico oltre che di valutazione. 🙂
Sul discorso dei critici e marchettari televisivi ti do ragione sul fatto che purtroppo ci sono e imperversano. Motivo per cui ritengo che debbano esser presi parecchio con le molle. Il che non significa che non dicano mai nulla che si possa condividere. Nel caso di Crespi mi sono trovata d’accordo con la parte che ho citato anche perché mi è già capitato diverse volte di trovarmi davanti a film italiani estremamente ben fatti da un punto di vista quanto meno tecnico ma molto discriminati proprio perché italiani. Allo stesso modo in cui per certi altri registi vale il discorso opposto per cui tutto quello che fanno viene osannato.
No, l’ultimo di Virzì non l’ho ancora visto ma il tuo commento mi incuriosisce 😉
A volte mi piace essere provocatorio non so nemmeno io perchè. Però credo fortemente nello studio della nostra storia cinematografica per capire meglio il cinema di oggi. E’ chiaro che vista l’oggettiva difficoltà di procurarsi un film di Nunzio Malasomma, la maggior parte dei critici desiste.
Concordo sia sull’importanza del conoscere la storia del cinema (nostra e non solo) sia sull’approccio spesso approssimativo anche da parte di coloro che questa storia dovrebbero conoscerla per mestiere.
E comunque la difficoltà di reperimento di molti vecchi film è davvero deprimente 😦